Il più bel regalo di Natale, l’ha ricevuto L., che dopo più di due anni di carcere è stato “liberato” proprio alla vigilia. L. l’abbiamo conosciuto al gruppo di lettura ad alta voce, che con Ella tengo nella casa circondariale Torre del Gallo, di Pavia. Chiuso, timido, molto arrabbiato e sospettoso (è una specie di difesa adottata da tutti, dentro) piano piano si è aperto ed è diventato una colonna di Numero Zero, il periodico della Casa, dove redigeva una rubrica sul linguaggio del carcere (che cosa significa montare una bicicletta? Vuol dire appioppare a qualcuno una storia inventata, che lo segnerà per tutta la sua permanenza). Ha voluto farci conoscere la sua famiglia, e assieme abbiamo festeggiato la sua nuova vita (le amicizie nate in carcere hanno qualche cosa di speciale, e da laico mi ricordano una specie di natività dentro di noi). Non so esattamente per che reato fosse dentro, non lo chiedo mai, per non avere pregiudizi.
 
Se domandate a un detenuto se è a favore dell’amnistia, naturalmente vi risponderà di sì, ma se cominciate a parlarci e a ragionare sulla vita dietro le sbarre, vi dirà che ci sono cose che servono di più.
 
Ad esempio: “Qualche cosa da fare e qualche cosa da imparare per quando saremo fuori” vi direbbero F., Fi.,P., I., A., A., D. o D.
Qualche cosa da fare, perché se hai qualche cosa da fare, dentro, il tempo vola.
Non solo ma è statisticamente provato che per chi ha potuto partecipare a corsi scolastici o di qualificazione, o di auto aiuto, la recidività decade in modo vertiginoso (grazie a una legge recente, in Brasile, si assegna grande valore alla lettura, alla sua capacità di farti riflettere e quindi di cambiare il modo di pensare, e se dimostri di aver letto un libro al mese, questo ti dà diritto a uno o due giorni di sconto di pena). Ci sono poi anche i problemi con i figli e se non sei riuscito a spiegarti quando eri ristretto, una volta a casa (ammesso che tu ce l’abbia e che ti rivogliano) i problemi potrebbero drammaticamente esplodere. Teniamo anche conto che le visite dei parenti ogni tanto saltano a causa della “troppa” affluenza, magari in occasione delle feste.
 
In molti propongono di poter svolgere dei lavori a titolo volontario, senza essere pagati. Quando c’è stato il terremoto in Emilia in tanti erano disponibili ad andare ad aiutare, ma la burocrazia è più pesante delle macerie.
Un mestiere, anche umile per quando sei fuori, per mantenere quella fiducia che ti sei dato quando eri dentro, poi a trovare da lavorare, prima o poi ci si riesce. Lo sanno che là fuori la vita è dura: “mai come qui” mi ha detto Fiore.
 
Sì, perché non abbiamo parlato solo di superaffollamento, di condizioni igieniche e sanitarie, di ingiustizie, di suicidi (un giorno parleremo anche di quelli degli agenti carcerari e della loro situazione), di mancanza di rispetto, di Pannella. Abbiamo tempo, noi.
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