Per quanto “voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti”. E’ con queste parole che si aprirà “Storia di un precariato”, lo spettacolo teatrale ideato da una giovane band reggiana, i Desamistade, diretto da Daniele Castellari, con la partecipazione di Don Andrea Gallo. In scena al teatro De André di Casalgrande, a Reggio Emilia, il 4 gennaio. Con le stesse parole pronunciate da Fabrizio De Andrè quando scrisse i testi del suo sesto album, “Storia di un impiegato”, la vicenda di un uomo che ascoltando un canto del ‘maggio francese’ scopre la rivoluzione.

“E’ un disco molto attuale – spiega Matteo Foracchia, il cantante della band, nove musicisti legati dalla passione per il cantautore genovese – l’impiegato prende coscienza della necessità di una lotta comune così come il precario, oggi, sa che non esiste, al governo, un partito che lo rappresenti e che per questo deve, egli stesso, invisibile, farsi avanti e combattere perché il suo dramma, un dramma generazionale, diventi una priorità per l’opinione pubblica e il paese”.

Il precario immaginato dai Desamistade si chiama Vitangelo Samsa, ha trent’anni, una laurea a pieni voti in Lettere ma nessuna raccomandazione. E’ il prodotto del sistema scolastico italiano, “infarcito di false speranze, false rassicurazioni”, pronto ad affrontare il mondo del lavoro e diventare, a tutti gli effetti, un uomo, “senza che il mondo sia pronto ad accoglierlo”. E’ come un moderno “clown”, è “impacciato, goffo”, è invisibile perché dalla politica attuale “non si sente rappresentato”. Il parallelismo con l’impiegato raccontato da Faber è chiaro: in entrambi il desiderio di ribellione passa per la violenza, e quella che appariva come una lotta individuale sfocia nella consapevolezza che lo scontro, infine, deve essere collettivo.

Così come il lavoratore alienato descritto nel 1973, all’interno dell’album considerato “più politico, più anarchico” di De Andrè, Samsa, distrutto da un’esistenza priva di qualunque certezza, racconta la sua vita da dietro le sbarre del carcere, e narra, dopo aver fallito in tutto, la sua ribellione individualista. “Sarà poi proprio nello spazio in cui è stato costretto e nel momento in cui gli è stata tolta la libertà – spiega Matteo – a trovare finalmente un equilibrio e a raggiungere un’importante epifania”.

“Nel bombarolo, uno dei brani dell’album di De Andrè, declinato negli anni di piombo, si legge anche tutto il disagio che agita i precari d’oggi – continua la band – la rabbia generata dall’essere invisibili sfocia nella tensione sociale che non trova sbocco, e che spesso genera disturbi”. E anche di quei disturbi parla lo spettacolo che sarà introdotto da Don Gallo, amico del cantautore genovese, sul palco per parlare di precarietà. “Con lui ci siamo scritti a lungo e quando gli abbiamo presentato una prima scrittura dell’opera ci ha contattati per dirci che era interessato – racconta Matteo – Don Gallo i margini della società li conosce bene, per la sua comunità sono passati molti giovani in difficoltà e quando abbiamo parlato della precarietà l’ha definita ‘una nuova piaga sociale che genera disagio”.

Un disagio che nasce da quel “disordine dei sogni” di cui cantava De Andrè, una pulsione “a realizzarsi difficile da concretizzare, che spinge a commettere errori ma che è anche il motore per il cambiamento della società, oltre che dell’individuo”. Che sarà rappresentato da chitarre, violino, contrabbasso e percussioni. Che prenderà vita su un palcoscenico, anche se già è presente nell’animo di “un’intera generazione”.

“Noi con questo spettacolo non vogliamo trasmettere un messaggio – conclude Matteo – cerchiamo invece di mettere in luce la realtà in cui molti si trovano a vivere. Senza raccomandazione, senza agganci” diventare uomini è difficile. “Come cantava De Andrè, ‘rischiavano la strada e per un uomo ci vuole pure un senso a sopportare di poter sanguinare. E il senso non dev’essere rischiare, ma forse non voler più sopportare”.

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