Si segnalano attività natalizie febbrili da parte degli organi stampa di ambiente vaticano.

A firma di Bruno Volpe il sito pontifex.roma.it pubblica ben tre articoli collegati sul femminicidio (leggi l’articolo), e lo fa mostrando i migliori gioielli di famiglia: un’intervista a Corrado Carnevale, (chiamato dagli anni ’80 l’ammazza sentenze di mafia) giurista e Presidente di Sezione in Cassazione, e due articoli, uno denso di memorie colte, Il femminismo satanico condannato dalla “Mulieris dignitatem” di Giovanni Paolo II e, ultimo in ordine di tempo, quello dal titolo, (che non lascia nulla all’immaginazione), Le donne e il femminicidio, facciano sana autocritica. Quante volte provocano?

Se non fossimo in un Paese cattolico, nel quale la chiesa di Stato fa politica in modo pesante sui temi della contraccezione, dell’etica pubblica e privata, delle sessualità e in generale dell’autodeterminazione femminile non varrebbe davvero la pena di commentare e prendere in considerazione questo giornalismo francamente imbarazzante.

Purtroppo tocca farlo, invece, perché la violenza con la quale anche in questo sito si mette in atto il meccanismo negazionista sul femminicidio si salda con una tendenza diffusa, anche in ambienti laici, e questa sinergia è preoccupante.

L’argomento principale è che, anche a detta del magistrato, tutti gli omicidi sono uguali: parlare quindi di femminicidio sarebbe, addirittura, la configurazione di una discriminazione a favore delle donne da una parte, oltre che una forma di incitamento all’odio contro i mariti e gli uomini dall’altra.

Si toccano vette surreali, nell’intervista, quando Bruno Volpe chiede al magistrato: “Sono le donne a provocare?” e il giurista risponde: “Questo direi di no. Poi bisogna vedere caso per caso. Non perché una donna cammini di sera, questo autorizza all’assassinio, anche se prudenza vuole che la stessa donna non usi vestiti provocanti o atteggiamenti equivoci che possano determinare eccitazione. Sarebbe bene che le donne evitassero ambienti poco raccomandabili per una questione di sana prudenza”. La cronaca ci parla di 118 donne (fino ad oggi) uccise per mano maschile dentro, o nelle vicinanze, della casa famigliare, ma questo incontrovertibile dato di realtà non è pervenuto ai due dialoganti.

Il fatto grave è che il negazionismo sul femminicidio in Italia, che per la prima volta dopo molti anni è finalmente oggetto di attenzione anche da parte dei media, diventa un’arma odiosa brandita per rimuovere il problema.

Curiosamente anche le stesse agenzie preposte alla ‘tutela’ della famiglia tradizionale, come evidentemente è per esempio il sito pontificio citato, non fanno bene il loro mestiere, visto che il luogo più interessato alla violenza è proprio lo spazio domestico.

Così, invece di chiedersi cosa non funzioni nella cultura familiare tradizionale se questa genera violenza, si rinnova l’adagio della colpa femminile: “Il nodo sta nel fatto che le donne sempre più spesso provocano, cadono nell’arroganza, si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni esistenti, – chiosa Volpe nel suo articolo -. Bambini abbandonati a loro stessi, case sporche, piatti in tavola freddi e da fast food, vestiti sudici e da portare in lavanderia, eccetera… Dunque se una famiglia finisce a ramengo e si arriva al delitto (FORMA DI VIOLENZA DA CONDANNARE E PUNIRE CON FERMEZZA), spesso le responsabilità sono condivise”.

Ho riportato il pezzo così come è stato scritto, perché è importante prendere atto di come, a fronte di una proposta politica e culturale forte che indica un problema suggerendo un nome per discuterne la reazione è, in molti ambienti, quella di tornare ad evocare una unica, solita, inevitabile, soluzione: le donne devono stare al loro posto, la cucina; devono tenere solo un comportamento, quello sottomesso; devono evitare di essere protagoniste della loro.

Che tremenda e luttuosa visione delle relazioni umane è contenuta in questo programma così devotamente ratzingeriano. Davvero un ottimo Natale in famiglia, e mi raccomando niente piatti freddi in tavola.

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