Doveva essere lo Statuto della rinascita della gloriosa Società italiana autori ed editori che fu di Giuseppe Verdi, Giosuè Carducci e Edmondo De Amicis quello approvato lo scorso 9 novembre dal Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministero per i beni e le attività culturali e di concerto con il Ministro dell’Economia.

Era questa, d’altra parte, la missione affidata non tanto all’ultranovantenne Commissario Straordinario Gian Luigi Rondi ma ai suoi due sub commissari, Mario Stella Richter e Luca Scordino. “Il Commissario Straordinario ha l’incarico di adottare gli atti necessari ed opportuni al fine di assicurare il risanamento finanziario e l’equilibrio economico” della Società, recita, infatti, il Decreto del Presidente della Repubblica con il quale, nel marzo del 2011, la Siae era stata, ancora una volta, commissariata.

Rischia, invece, di essere l’ultimo Statuto della storia ultracentenaria della Siae che, difficilmente, potrà sopravvivere alle fortissime tensioni tra i suoi associati determinate dall’adozione di regole profondamente ingiuste prima ancora che illegittime che consegnano la Società nelle mani dei più ricchi, relegando i più numerosi al ruolo di gregari.

Pochi, anzi, pochissimi, decideranno le sorti di tutti.

E’ questo il senso della sciagurata disposizione che rappresenta il cuore del nuovo Statuto appena approvato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, contenuta al comma 2, dell’art. 11, secondo la quale “ogni associato ha diritto di esprimere nelle deliberazioni assembleari almeno un voto e poi un voto per ogni euro (eventualmente arrotondato per difetto) di diritti d’autore percepiti nella predetta qualità di Associato a seguito di erogazioni della società nel corso dell’esercizio precedente”.

Basterà una squadretta di cinque o sei ricchi beneficiari di diritti – tali, peraltro, sulla base di regole di riparto che potranno autodeterminare in solitudine – per porre nel nulla la volontà di decine di migliaia di associati.

Il più ricco, diventa, automaticamente anche l’autore ed editore più attivo e produttivo e, per questo, quello più meritevole di governare un Ente al quale, anche il nuovo Statuto, attribuisce ruoli e funzioni di tutela e promozione della cultura che vanno ben al di là della semplice gestione economica dei compensi da diritto d’autore intermediato.

Si tratta di un gravissimo ed inaccettabile fraintendimento – per usare un eufemismo – del ruolo dell’autore e dell’editore nel sistema culturale con il quale si pretende, in modo miope ed arrogante, di cancellare una storia ultracentenaria nella quale non sempre gli autori e gli editori che hanno contribuito di più all’arricchimento ed alla crescita culturale del nostro Paese sono stati anche i più ricchi.

Stupisce, delude e preoccupa che un così grave errore di prospettiva porti la firma del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Paolo Peluffo al quale il Presidente Monti ha attribuito la delega in materia e quella del Ministro per i beni e le attività culturali, Lorenzo Ornaghi.

Il nuovo Statuto della Siae, infatti, sottintende una visione del sistema culturale di inaudita povertà sotto il profilo ideologico e politico: arte e cultura come semplici strumenti di produzione economica e finanziaria.

E non è un caso, infatti, se le uniche esperienze nelle quali la governance di un Ente è affidata al “voto pesante dei più ricchi” si ritrovano negli Istituti bancari e creditizi dove, evidentemente, soldi e moneta fanno da padroni.

Inutili, povere anch’esse e deludenti le “giustificazioni”, peraltro non richieste, con le quali nei mesi scorsi il Ministro Ornaghi, dinanzi alla Commissione Parlamentare d’indagine sulla Siae, aveva anticipato la propria posizione sulle prime indiscrezioni circa il contenuto del nuovo Statuto ricordando che “Il decreto di commissariamento…ha indicato la strada del voto ponderato ed appare difficile oggi contestare al Commissario il fatto di aver eseguito il mandato scritto nel decreto di commissariamento”.

Il Decreto di commissariamento – che, peraltro, non è una carta di diritti costituzionali intangibili e non è il risultato di un processo necessariamente esente da errori ed indebiti condizionamenti – tuttavia, si limita, a dire che il Commissario, nel proporre le modifiche statutarie, avrebbe dovuto, tra l’altro, preoccuparsi di assicurare adeguata rappresentatività agli associati in rapporto ai relativi contributi economici.

Nulla che giustifichi – o renda addirittura indispensabile – la scelta di consegnare la Siae nelle mani di un manipolo di associati, trasformando gli altri in figuranti, tecnicamente impossibilitati a partecipare democraticamente alla vita dell’Ente ed annullando, in via preventiva e su base aritmetica, il loro peso in qualsiasi delibera assembleare.

La stessa Commissione parlamentare di indagine, nelle scorse settimane, nel chiudere il propri lavori, aveva proposto una soluzione alternativa, egualmente rispettosa delle “indicazioni” contenute nel decreto di Commissariamento: “Riguardo poi all’attribuzione di poteri differenziati di elettorato attivo, potrà adottarsi una formula che assegni a ciascun associato un uguale voto di base; integri tale voto con un punteggio aggiuntivo in misura fissa, da attribuirsi agli autori ed agli editori (produttori) che siano iscritti alla Siae da almeno dieci anni e che abbiano maturato, nel corso dell’ultimo quinquennio, una quota media di proventi non inferiore ad un limite che dovrà essere predeterminato a seconda dei generi di opere.”.

L’assetto del nuovo statuto – che, per inciso, non contiene nessuna previsione idonea a superare le tante ragioni di inefficienza che hanno condotto la società nell’attuale situazione di crisi – è iniquo ed illegittimo con l’ovvia conseguenza che, nelle prossime settimane, saranno, ancora una volta – come già spesso accaduto in passato – i giudici ad essere chiamati a decidere sulla sorte delle regole di quella che avrebbe dovuto essere la nuova Siae ed è, invece, destinata ad essere l’ultima.

Si apre una nuova lunga stagione di battaglie giudiziarie che, inesorabilmente, paralizzerà ulteriormente l’azione della Società che già esce da oltre un anno di commissariamento e le impedirà di giocare – come sarebbe stato auspicabile – il suo ruolo in un momento straordinariamente delicato per il mondo della cultura e del diritto d’autore.

E’, probabilmente, il peggiore degli epiloghi possibili di una gestione Commissariale drammaticamente inadeguata e di un Governo, sin dall’inizio, apparso incapace di occuparsi del sistema culturale italiano perché, tra l’altro, privo della necessaria sensibilità e competenza.

La Siae, ora, rischia di spegnersi, dopo una lunga agonia, nella vergogna.

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