“Vedi come è piccolo, rispetto ad altri testi sulla violenza o il femminicidio? In questo modo non intimidisce un ragazzo o una ragazza, se si propone di leggerlo”. Ha pensato anche a questo Cristina Obber, autrice di “Non lo faccio più”, libretto che raccoglie l’inedito intreccio tra le parole dei giovani stupratori e delle loro vittime, storie terribili che però possono aprire spazi di cambiamento.

Più che un libro “Non lo faccio più” è uno strumento per entrare nelle scuole italiane a parlare, ma soprattutto far parlare, di violenza, sessualità e lacerazione. E sappiamo bene quanto ce ne sia bisogno, specialmente nella fascia d’età tra i 13 e i 25 anni.

“Ciò che manca ai ragazzi, anche e soprattutto a quelli che hanno fatto violenza, spesso giovanissimi stupratori, talvolta in gruppo, di coetanee, è la consapevolezza della fisicità di quel gesto: si deve, e si può, con le parole giuste, parlare loro di lacerazione del corpo e dell’anima della vittima di stupro –racconta Obber-. Spesso invece si gira intorno a questo punto, non si nominano la carne e il sangue. Bisogna raccontare che c’è un corpo ferito, altrimenti si fa solo del falso pudore”.

Il progetto del libro, che si accompagna con la proposta di momenti di incontro e formazione a partire dal secondo ciclo delle superiori fino all’università, è nato non a tavolino, ma durante un viaggio in auto. Obber racconta che qualche mese fa l’ennesima notizia di un nuovo stupro di gruppo che coinvolgeva giovanissimi carnefici e un altrettanto giovanissima vittima non l’ha attraversata in fretta, come purtroppo accade, anche per istinto di conservazione.

Da quel momento è scattata la determinazione che qualcosa lei lo doveva fare. E così è stato: il bisogno di andare alla fonte, di guardare negli occhi i ragazzini stupratori, che non sono mostri, ma ragazzi che potrebbero essere figli tuoi, i nostri ragazzi, ha preso corpo nel testo.

E se passare all’azione è stato certo più complicato che decidere, l’esperienza di Obber svela che, dietro alla cortina di silenzio, e spesso disinteresse mediatico per il quotidiano lavoro di chi si occupa di prevenzione della violenza, c’è una rete, in Italia, fitta e attivissima di persone, associazioni e gruppi che senza denaro a sufficienza (e spesso senza nemmeno quello insufficiente) formano il tessuto connettivo che resiste, che continua a creare luoghi e occasioni di ascolto, e che si attiva per riparare i danni. Maggiori informazioni a questo link.

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