Già per altri post sono stato tacciato di “benaltrismo” da qualche lettore che certamente non fa giornalismo in America Latina, per cui mi tolgo un sassolino dalla scarpa senza troppo timore.

Non desidero occuparmi direttamente di ciò che è accaduto a Yoani Sánchez, del suo arresto e di quello di sedicenti attivisti per i diritti umani a Cuba. In troppi ne parlano. Peraltro Yoani è già stata liberata e riportata a casa dalla polizia.

Voglio raccontare piuttosto cosa succede in un paese considerato democratico dai più, di cui si parla sempre troppo poco (sicuramente a confronto con Cuba) e che invece è un po’ un inferno per chi fa la mia professione.

Il Messico non ha una Yoani Sánchez. Me ne rammarico, perché una come lei aiuterebbe certamente ad aumentare l’attenzione su quello che succede qui ai giornalisti e ai difensori dei diritti umani. Se si avesse la stessa attenzione (spesso morbosa e disinformata) che si ha ideologicamente nei confronti di Cuba anche per paesi come il Messico, probabilmente i giornalisti sarebbero più protetti.

Dall’inizio del 2012 sono stati ammazzati in Messico 10 giornalisti. Considerando che in Siria, il paese più pericoloso per questa professione, ne sono morti 32, e 16 in Somalia, il Messico si piazza ad un dignitoso terzo posto. Non è poca cosa. E qui non c’è nessuna guerra, né guerra civile (quanto meno non dichiarata).

I giornalisti desaparecidos si contano a decine e sono centinaia i colleghi costretti al silenzio, all’autocensura, da minacce, aggressioni, violenze di ogni tipo, soprattutto perpetrate da funzionari pubblici e agenti delle forze di polizia e militari, come confermano i rapporti di Amnesty International e dell’organizzazione in difesa dei giornalisti Article19.

La libertà di stampa e di espressione è negata e soppressa costantemente, quotidianamente, soprattutto fuori da Città del Messico, in “provincia”, dove chi lavora in zone “difficili”, come Ciudad Juárez, Chihuahua, Culiacán, Monterrey, Veracruz, Chilpancingo (e chi più ne ha più ne metta), deve adottare strategie caserecce di protezione, auto censurarsi costantemente, o semplicemente sperare che non arrivi un commando a prenderti, farti sparire e decapitarti.

Questa è una breve sintesi delle condizioni della libertà di espressione e di stampa in un paese “democratico” come il Messico, dove, nei tre mesi appena trascorsi, sono spariti attivisti e giornalisti solo per aver svelato i tremendi brogli elettorali, la compravendita di voti e le violenze di ogni tipo del nuovo presidente eletto e della sua squadra (o meglio, squadraccia), che entrerà in carica il prossimo primo dicembre.

Ma siccome non c’è un’attenzione ideologicamente orientata come nei confronti del regime cubano, allora Cuba e Yoani diventano bandiere e battaglie da cavalcare, mentre il Messico rimane tutt’al più un buon posto dove andare a godersi un po’ di mare, dopo aver manifestato, sui social network, la propria indignazione verso un regime brutale e liberticida come quello cubano.

La difesa dei diritti umani selettiva.

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