Sembra ancora di sentirli, i politici del centrosinistra. Tutti ad applaudire Sergio Marchionne, “che ha preso quella macchina ingrippata che era diventata la Fiat e l’ha salvata”, per dirla con Sergio Chiamparino. Perché cambiassero idea, l’ad del gruppo Fiat ha dovuto gettare la maschera, confermando le preoccupazioni della Fiom, unica, in questi anni, a non subire il fascino del manager abruzzese e delle promesse sul futuro degli stabilimenti italiani. “Voglio sapere che programmi ha la Fiat per il nostro Paese”, dice oggi Massimo D’Alema, a Milano per la festa locale del Pd. “Ci dica quanto intende investire e quali garanzie dà per il lavoro”, continua il presidente del Copasir, che da Marchionne ora pretende “documenti scritti, non dichiarazioni giornalistiche”. Eppure, appena tre anni fa D’Alema la vedeva così: “Ho sempre pensato che il destino della Fiat fosse quello di una forte internazionalizzazione”, dichiarava il 7 maggio 2009, “e Marchionne 
lo sta facendo nel modo migliore”. “Archeologia”, si affretta a derubricare D’Alema, che considera certe affermazioni superate dagli eventi. Vale anche per quelle di colleghi come Piero Fassino, che nel 2006 definiva Marchionne un “vero socialdemocratico”? E le parole di Valter Weltroni? “Marchionne ha posto con chiarezza il problema”, spiegava l’ex sindaco di Roma ancora nel 2011, “ci vuole un contratto di lavoro costruito più a ridosso dell’organizzazione aziendale”. D’Alema non ci sta a giustificare cose che, a sentir lui, avrebbe detto almeno otto anni fa. “Noi abbiamo sempre chiesto conto alla Fiat”, assicura. Tutto da archiviare, insomma, roba da archeologi. Intanto le elezioni si avvicinano, e i lavoratori saranno presto chiamati a votare. “I sondaggi dicono che la maggior parte del lavoratori dipendenti sta col centrosinistra”, ci informa inorgoglito D’Alema. È la democrazia, bellezza. Marchionne capirà  di Franz Baraggino

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