Sono perplessa come sempre quando si tratta di andare da qualche parte dove si prevedono centomila persone. La sicurezza di avere un invito per l’area riservata mi incoraggia. All’ingresso del paese di Melpignano, dove a breve salirà sul palco Goran Bregovic, le file di macchine già parcheggiate danno la misura dei numeri, i pullman provenienti da chissà dove danno l’idea della grandezza raggiunta dall’evento, infine i camper nella loro piazzola di sosta ci ricordano che siamo in Salento, è estate e prima di tutto vacanza.

Tutto questo durante il tragitto in macchina per dirigerci nel parcheggio dentro al paese, quello riservato ai pass. Ospiti, artisti, stampa sono le tre categorie di eletti. Un invito per la prima area (sedie davanti al grosso video, cibo, vino), pass e braccialetti per tutte le aree, cioè la seconda (salotti, tavolini, cibo, vino, due video più piccoli), la terza (backstage) e la quarta (palco, di lato in area transennata sotto la chiesetta).

Ho solo l’invito per la prima area, ma ho la faccia da braccialetto evidentemente, visto che riesco ad accedere ovunque senza problemi pur non senza qualche mia ansia al pensiero di non poter andare facilmente da una parte all’altra (controlli ad ogni area, che passerò regolarmente per tutta la sera, perciò confermo: ho la faccia da braccialetto).

E’ la prima volta che vengo a Melpignano dagli inizi, agli albori della Notte, la prima volta in cui mi abbandono alla suggestione della pizzica che non figura tra i miei generi preferiti. Quest’anno c’è lui, Goran Bregovic maestro concertatore. Nulla da dire. Lo stiamo aspettando ingannando l’attesa tra amici, musicisti, giornalisti, politici in un’atmosfera rilassata e nemmeno tanto snob, tra mille chiacchiere che in alcuni momenti finiscono per distrarre un po’ dalla musica. Immagino invece che tutta la folla dei centomila là fuori, accalcata, sudata, esaltata, magari anche allegramente alcolica, stia “solo” ballando e ascoltando. Come questo bellissimo ragazzo russo che con una piccola troupe televisiva gira ballando con la gente. Noi altri nel fortunato “recinto” abbiamo una visione un po’ edulcorata, quanto meno durante i momenti che si trascorrono davanti ai video con i piatti e le flûte in mano. Ma è interessante anche questo, è un’angolazione diversa e le angolazioni, si sa, sono un dettaglio non trascurabile nell’osservazione della vita.

Il concerto prosegue in una successione di momenti incalzanti. Le donne dell’est in costumi tipici, le nostre cantanti locali, le mondine di Modena, le ballerine di pizzica. Un trionfo di donne sul palco, tutte con la loro singolare bellezza e bravura. Bregovic vestito di bianco, sempre sorridente, con il suo amabile italiano ci fa innamorare tutte.

A fine concerto corro dietro a capire se riuscirò a salutarlo un microsecondo e a farci una foto. Ho sempre detestato autografi e foto con le star, roba da fan, ma per alcuni personaggi faccio un’eccezione e penso che alla fine tutti quelli che vedi inseguire i loro miti per una foto facciano un’eccezione. Forse.

Mentre aspetto cercando di capire da dove uscirà, e per farlo mi accosto ai suoi musicisti chiedendo informazioni, resto immobile ad ascoltarli rapita mentre chiacchierano nella loro lingua. Ho bisogno di ritrovare parole che non sento da quasi dieci anni ma che scopro di non aver dimenticato. Amo la cadenza apparentemente sempre incazzata dei loro discorsi fatti di tante consonanti e poche vocali, mi sento orgogliosa di riconoscere alcuni vocaboli e qualche parolaccia (la prima cosa che si impara di una lingua straniera).

Un po’ di attesa, non siamo in tante ad aspettare lì, mi sento quasi in colpa, so quanto sia difficile il post concerto, tra adrenalina, stanchezza, fame e tutto il resto. Eccolo. Goran esce, attorniato dal suo staff che cerca di portarlo via subito, ma lui si concede a noi che lo circondiamo per la foto, tutte insieme. Vorrei guardarlo negli occhi e dirgli qualsiasi cosa ma invece mi giro verso il tripudio di flash di non so chi, una decina di macchinette ci stanno fotografando tutte contemporaneamente, insieme a lui.

Ho sentito qualcuno dire che pur essendo stato bellissimo l’apporto dell’est di Bregovic, la pizzica dovrebbe rimanere pizzica. Lo avrebbero detto anche se ci fosse stata la contaminazione con i ritmi africani o i balli sudamericani. Ma senza l’abbraccio verso gli altri generi, chissà, forse non saremmo arrivati a tanta popolarità.

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