Secondo uno studio di Deloitte, il calcio internazionale non sembra risentire particolarmente della crisi economica. Si tratta di un’industria che produce 4,4 miliardi di euro l’anno, con ricavi in crescita. Si conferma lo strapotere di Spagna, Inghilterra e Germania, mentre le squadre italiane appaiono in declino. Perché si affidano a una concezione del calcio padronale e antiquata. Tanto che i loro ricavi derivano principalmente dalla vendita dei diritti tv, mentre per lo più snobbano gli accordi commerciali. La questione dello stadio di proprietà.

di Luciano Canova* (Fonte: lavoce.info)

Da qualche anno la Deloitte pubblica uno studio estremamente interessante, che s’intitola Football Money League.(1) È un documento che concerne un aspetto sicuramente molto discusso, la situazione finanziaria dei più importanti club di calcio, eppure trattato spesso con informazioni sommarie o addirittura fuorvianti.

I più ricchi d’Europa

Lo studio del 2012, uscito lo scorso febbraio, fotografa la situazione economica delle venti squadre più ricche d’Europa, basandosi sui bilanci della stagione 2010/2011.
Un primo dato da evidenziare è che il business “calcio” non sembra essere particolarmente intaccato dalla crisi economica internazionale: si tratta di un’industria che produce, infatti, 4,4 miliardi di euro, con una crescita dei ricavi del 3,3 per cento rispetto all’anno precedente.
La classifica evidenza una certa stabilità, da qualche anno a questa parte, nelle prime sei posizioni: accanto al dominio incontrastato delle due big spagnole (Real Madrid e Barcellona), ci sono Manchester United, Bayern Monaco, Chelsea e Arsenal.
Insomma, trova conferma l’evidenza empirica dello strapotere di Spagna, Inghilterra e Germania (in forte ascesa), in concomitanza con un declino delle compagini nostrane.
Milan e Inter, infatti, seguono immediatamente questo sestetto, mentre Juventus, Roma e Napoli sono staccate, rispettivamente, al tredicesimo, quindicesimo e ventesimo posto.
Nella classifica, rispetto agli ultimi anni, è aumentata la presenza delle squadre tedesche, che si prevede scaleranno posizioni su posizioni nel futuro immediato: la cosa non sorprende, se si pensa ai brillanti risultati calcistici e all’oculata gestione di molti team della Bundesliga. Spicca, tra questi, lo Shalke 04 che, pur non avendo ottenuto risultati particolarmente brillanti sul campo, ha operato una strategia commerciale estremamente efficace.
Per l’Italia, invece, si conferma un declino che sembra inarrestabile nel medio termine, e figlio di una concezione del calcio padronale e antiquata.
Spicca anche la distanza siderale negli introiti: il duetto Real Madrid–Barcellona viaggia su incassi vicini ai 500 milioni di euro, quasi doppi rispetto alle due squadre di Milano.
Inoltre, mentre i team iberici mostrano un trend positivo (incremento di 41 milioni per il Real Madrid, con un +9 per cento, e di addirittura 52,6 milioni per i blaugrana, con un + 13 per cento), Inter e Milan sono in una situazione declino. (2)

I problemi delle squadre italiane 

Un elemento importante riguarda il metodo scelto dalla Deloitte: lo studio si basa su un’analisi economica, che tenga dunque conto delle attività produttive delle squadre di calcio. E non di mera rendita o di operazioni inevitabilmente straordinarie. Essenzialmente, le tre voci principali riguardano: biglietti/stadio; entrate commerciali (contratti di sponsorship e merchandising); diritti tv.
Non vengono volutamente presi in considerazioni i dati relativi alle transazioni dei giocatori, considerati giustamente non come operazioni economiche, ma come boccate di ossigeno una tantum che non producono un costante flusso di reddito.
Già da questo punto si evince la situazione non rosea di Inter e Milan, che mostrano invece un’attenzione smodata per le operazioni di mercato, dettata dalla necessità di ridurre un folle monte ingaggi, e non colgono, o lo fanno molto in ritardo, le opportunità degli accordi commerciali.
Sembra quasi di assistere alle polemiche sul rigore fine a se stesso delle politiche dei paesi indebitati in Europa. Un rigore inevitabilmente nocivo nei confronti della crescita.
Un altro dato che salta all’occhio è la natura dei bilanci delle squadre italiane. E la loro conseguente vulnerabilità.
Per Inter, Milan, Juventus, Napoli e Roma, le entrate derivanti dagli accordi per la trasmissione tv delle partite vanno dal 46 al 63 per cento dei ricavi totali. I diritti tv rappresentano un ricavo piuttosto passivo, fortemente legato alla natura del mercato delle telecomunicazioni del paese di riferimento e, soprattutto, molto dipendente dai risultati sul campo.
È chiaro, per esempio, che l’Inter possa aspettarsi un futuro a breve piuttosto fosco, a causa dell’uscita dalla Champions League. Inutile nascondersi dietro il paravento dell’importanza dell’Europa League (la vecchia coppa Uefa): pur rappresentando un mercato in forte crescita e con prospettive interessanti, il confronto con la Champions è impietoso: 754 milioni di euro divisi tra 32 squadre contro 150 milioni distribuiti tra 56 squadre.
Insomma, il rischio è quello di un serpente che si morde la coda: prestazioni deludenti, introiti da diritti tv più bassi e prestazioni ancora più deludenti.

Lo stadio di proprietà

Tra le squadre italiane, quella più moderna, almeno in prospettiva, è la Juventus. Sicuramente lo stadio di proprietà, se adeguatamente supportato con campagne tese a stabilizzare negli anni il numero di abbonati e spettatori paganti, può essere un valido contributo all’incremento dei ricavi. (3)
Tuttavia, rispetto a questa soluzione, bisogna porre dei caveat importanti. Innanzitutto, è necessario per l’appunto un numero di spettatori adeguato. Barcellona, Real Madrid, Manchester United e Bayern Monaco, viaggiano su medie tra i 60 e i 70mila spettatori a partita. Milan e Inter si fermano a poco più di 50mila, segno di una politica di prezzi poco incentivante.
Inoltre, uno stadio di proprietà non solo è un investimento redditizio esclusivamente nel lungo periodo, ma è fortemente legato anche alle prestazioni della squadra: i ricavi sono chiaramente crescenti in funzione di quante partite si giocano durante una stagione. Uscire dalla Champions League o dalla vecchia coppa Uefa ai primi turni potrebbe vanificare lo sforzo ingente della costruzione di un impianto.
È lecito dunque guardare con un po’ di scetticismo alle dichiarazioni programmatiche, per esempio, della dirigenza interista, proprio in un momento di rifondazione in cui è verosimile che la squadra, per qualche anno, non possa che andare incontro a risultati calcistici modesti.
Come mostrano i bilanci delle prime classificate della Money League, un investimento veramente produttivo è piuttosto quello degli accordi commerciali.
Sia per il Real Madrid, sia per il Barcellona, i ricavi derivanti dalla questa voce ammontano a un terzo del bilancio, con cifre di 172 milioni e di 156 milioni, rispettivamente, e incrementi annui del 15 per cento. Milan e Inter traggono, dalla stessa componente di bilancio, 91 milioni e 54,1 milioni di euro (25 per cento delle entrate). Dalla sola sponsorship della Qatar Foundation, il Barcellona riceve 30 milioni di euro annui, contro i 12 di Emirates per il Milan e di Pirelli per Inter.
Aggredire i mercati emergenti (cinese, indonesiano) potrebbe rappresentare una buona strategia per recuperare un gap strutturale di qualche centinaio di milioni. In questo, l’Inter è la squadra italiana che, finalmente, sta muovendo qualche passo nella direzione giusta.
All’orizzonte, comunque, si prospetta un periodo assai difficile per il nostro calcio: vecchio nelle sue strutture, poco attraente in quanto a competitività dei mercati.
Se gli sceicchi acquistano squadre inglesi o il Paris Saint Germain, non è tutto dovuto ai capricci di un emiro, ma a precise motivazioni di carattere economico.
Spiace chiosare con le parole del discusso procuratore di calciatori Mino Raiola, ma non si può in parte non condividere, o quanto meno cogliere il campanello d’allarme, di affermazioni come la seguente: “Sono finiti i tempi in cui vedevamo arrivare in Italia Maradona e Platini. Non siete stati capaci di investire in nulla: gli altri campionati sono delle industrie che funzionano, dei marchi importanti. Se oggi dovessi chiedere a un giocatore di andare in Italia, soprattutto al Sud, scapperebbe”. (4)

(1) http://www.deloitte.com/view/it_IT/it/ufficiostampa/b69c159dd9265310VgnVCM2000001b56f00aRCRD.htm
(2) I ricavi del Milan si sono ridotti da 244 milioni di euro a 235,1; l’Inter è passata da 224.8 milioni a 211.4 (e la situazione è destinata a peggiorare sensibilmente, a causa dei brutti risultati in Europa con l’esclusione dalla prossima Cl).
(3) Soprattutto se rafforzato dalla creazione di musei e visite guidate ai trofei della squadra, come avviene per il Barcellona Fc.
(4)  http://www.corriere.it/sport/12_luglio_22/il-manager-di-ibra-e-balotelli-grasso_25bc0ff4-d3c7-11e1-83bd-0877fdcd1621.shtml 

*Luciano Canova è attualmente docente di economia ed economia comportamentale alla Scuola Mattei di Enicorporateuniversity, si occupa di economia pubblica, economia dello sviluppo ed economia ambientale. Di ritorno in Italia dopo due anni di esperienza alla Paris School of Economics nell’unità Microsimula (valutazione delle politiche pubbliche) ha conseguito il dottorato in Modelli Quantitativi per la Politica Economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e, in precedenza, un Master of Arts in Development Economics alla University of Sussex.

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