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Siria, la guerra delle menzogne

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C’è mai stata in Medio Oriente una guerra così ipocrita? Una guerra altrettanto ricca di vigliaccheria, immoralità e retorica fasulla? Ovviamente non mi riferisco alle vittime siriane, ma alle menzogne e alle bugie di chi ci governa. La risposta ai massacri è stata una pantomima degna più di Swift che di Tolstoj o Shakespeare. 

Qatar e Arabia Saudita armano e finanziano i ribelli per rovesciare la dittatura alawita-sciita-baathista di Assad e da Washington non arriva nemmeno una parola di critica. Barack Obama e Hillary Clinton dicono di volere la democrazia in Siria, ma il Qatar è una autocrazia e l’Arabia Saudita è tra i maggior esempi di califfato autoritario del mondo arabo, alleata dei ribelli salafiti in Siria e, a suo tempo, fervente sostenitrice del regime medievale talebano in Afghanistan.

Quindici dei 19 dirottatori dell’11 settembre venivano dall’Arabia Saudita e, ovviamente, noi abbiamo bombardato l’Afghanistan. Ma davvero c’è chi crede che l’Arabia Saudita vuole la democrazia in Siria ?

In Libano il partito-milizia degli sciiti hezbollah è la longa manus dell’Iran sciita e fedele alleato di Assad. Da 30 anni gli hezbollah si accreditano come difensori dei diritti dei palestinesi eppure oggi nemmeno una parola di condanna sugli stupri e i massacri di civili siriani a opera dei soldati di Assad e della milizia “Shabiha”.

E poi abbiamo i nostri eroi americani: Hillary Clinton, Leon Panetta, ministro della Difesa, e il presidente Obama. Panetta, lo stesso che raccontò la gigantesca balla del coinvolgimento di Saddam negli attentati dell’11/9, oggi annuncia che in Siria “la situazione sta sfuggendo di mano”. Dal canto suo Obama annuncia, un giorno sì e l’altro pure, “che la Siria è oggetto di attenzione da parte del mondo”.

Siamo certi che agli Usa farebbe piacere se i ribelli siriani aprissero gli archivi di Assad e ne mettessero il contenuto, torture comprese, a disposizione dell’opinione pubblica internazionale? Abbiamo dimenticato che qualche anno fa l’Amministrazione Bush inviava gli arabi sospettati di terrorismo a Damasco perché fossero torturati e che le stesse ambasciate occidentali fornivano l’elenco delle domande da fare ai detenuti? E per non farci mancare nulla c’è l’Iraq. La settimana scorsa ci sono stati in Iraq 29 attentati che hanno lasciato sul terreno 111 morti civili. Nella stessa settimana il numero dei civili assassinati in Siria è stato più o meno lo stesso. Ma ormai l’Iraq non fa più notizia. È una pratica chiusa e archiviata. E poi l’Occidente che c’entra? Ha forse qualche responsabilità per quanto accade oggi in Iraq?

Quanto all’informazione, stendiamo un pietoso velo di silenzio. Lo stesso silenzio della Bbc che copre di questi tempi un solo evento: le Olimpiadi. Basta guardare un telegiornale della Bbc per capire cosa intendo dire: la torcia olimpica viene prima di tutto il resto, bambini massacrati compresi.

E infine ci siamo noi, cittadini democratici e progressisti che, giustamente, scendiamo in piazza per protestare contro la politica di Israele nei territori occupati, ma che al cospetto della carneficina in corso in Siria non organizziamo nemmeno una timida dimostrazione, eccezion fatta per qualche corteo di sparuti gruppi di esuli siriani. Eppure il numero delle vittime non ha uguali in Medio Oriente. Giusto o sbagliato che sia, il messaggio è semplice e chiaro: chiediamo giustizia per gli arabi e protestiamo solo se a massacrarli sono gli occidentali e gli israeliani. Se invece li massacrano altri arabi, allora non facciamo una piega. E così facendo finiamo per dimenticare la “grossa” verità. Vogliamo rovesciare la sanguinaria dittatura siriana non perché amiamo i siriani o odiamo il nostro ex amico Bashar al-Assad o perché ce l’abbiamo con la Russia che ha tutte la carte in regola per ambire a un posto di prima fila nel Pantheon degli ipocriti, ma più semplicemente per dare una lezione all’Iran e magari sventare i suoi piani nucleari, sempre che esistano.
Insomma niente a che vedere con i diritti umani e con la morte di tanti bambini siriani.

© The Independent Traduzione di Carlo Antonio Biscotto

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