“Per favore non dite che il mio è un film di controinformazione o di denuncia”. Ci tiene a precisarlo  Enrico Masi, ricercatore bolognese di antropologia visuale e regista del documentario The Golden Temple, (trailer) un viaggio attraverso l’East end londinese, zona di estrema periferia toccata da quello che i media hanno definito “Olympic Regeneration”. Eppure le immagini raccontano un’altra storia. A cominciare dai terreni attorno al grande stadio olimpico, contaminati da vecchi depositi di scorie nucleari e secondo i comitati di protesta della zona mai bonificati. Poi c’è l’ossessione della sicurezza che, oltre ad aver portato oltre 10mila agenti e militari a Londra, ha fatto diventare la zona olimpica “una nuova Bagdad”, come l’ha definita lo scrittore Ian Sinclair dopo aver visto per migliaia e migliaia di metri le recinzioni elettrificate che difendono gli spazi olimpici. Il tutto raccontato attraverso un coro di voci, 12 abitanti dell’estrema periferia londinese, che narrano come anni di lavori abbiano sconvolto il loro quartiere.

Voce fondamentale del documentario è quella di Mike Wells, giornalista e fotografo sfrattato da casa e ora london boater, costretto ad abitare su una barca come tanti altri. “Ma anche così ha avuto problemi, perché i canali sono esattamente di fianco allo stadio e quindi gli hanno chiesto di andarsene o di trasformare il proprio barcone in un’attrazione per turisti”, spiega Masi. Mike si è dedicato alla poco nota questione scorie tossiche. “Se ne sono accorti quando stavano già portando via il materiale di scarto”, spiega il reporter inglese nel documentario. La storia è semplice, ed è stata raccontata anche dal Guardian: “Il terreno su cui sorge lo stadio olimpico è stato usato in passato per ricerche nucleari con piccoli reattori sperimentali. La bonifica del terreno? Non è mai stata fatta. Mike ci dice che i lavori olimpici erano più importanti e cento tonnellate di rifiuti tossici sarebbero ancora in zona”. Lo stadio simbolo dei giochi, ha spiegato il quotidiano inglese, è stato costruito a meno di 300 metri da un deposito di scorie di torio e radio. La versione ufficiale fornita dalle autorità è che il terreno è stato bonificato e non ci sono più pericoli. Non tutti la pensano così però, e infatti per protestare contro i lavori sono nati diversi comitati di cittadini. “Il movimento Occupy a Londra è molto forte, ma questi – conclude Masi – sono semplicemente movimenti civici che tentano di salvare il salvabile”.

Poi ci sono tutti gli altri personaggi. C’è Rosie, con gli affari del proprio fast food a conduzione familiare che vanno a rotoli, e che alla fine sarà costretta a chiudere i battenti per ragioni di sicurezza per tutta la durata dei giochi. C’è Robb, costantemente a rischio sfratto, e c’è Osita, ultimo inquilino resistente di un palazzo ormai svuotato. La sua sfortuna è stata quella di vivere in un luogo perfetto per ospitare gli studi della Bbc. Nel documentario appare anche Ian Sinclair, scrittore conosciuto in Gran Bretagna e arrivato anche in Italia con il suo London Orbital. Sinclair non usa mezze misure per descrivere i lavori olimpici: “Abbiamo costruito una Bagdad in casa nostra”. Il riferimento è all’enorme recinto elettrificato che prima ha difeso i lavori ed ora difende il villaggio olimpico: “un modo come un altro per separare chi ha il biglietto da chi non ce l’ha”, commenta Mike Wells. 

Un evento, quello olimpico, che ha portato alla distruzione del verde dell’East end, ma che allo stesso tempo ha riqualificato la zona rendendo questa estrema periferia di Londra un luogo ambito dalla midlle class della City. “Regeneration”, appunto. Ma a beneficiare di questa rigenerazione di una tra le zone più malfamate di Londra, sono solamente i pochi fortunati in grado di acquistare i nuovi alloggi. Gli abitanti storici invece sono stati pian piano allontanati tra sfratti, demolizioni e chiusure di chioschi e piccoli negozi di vicinato, strangolati dai maxi centri commerciali. Uno su tutti: Westfield, lo shopping center più grande d’Europa, con all’interno un altrettanto gigantesco McDonalds. “Westfield sarà il passaggio obbligato per 7 visitatori su 10 che vorranno accedere al villaggio olimpico ”, spiega Sue, guida turistica entusiasta dei giochi. Ed è proprio Westfield il Golden Temple ad avere dato il titolo al documentario. “Se cercate su internet scoprirete che The Golden Temple è il nome di un santuario sikh costruito nel Punjab, in India. Il mio – spiega Masi – è invece proprio il centro commerciale olimpico, mausoleo d’oro del capitalismo, tempio attorno a cui gravitano soldi, affari, e ovviamente le stesse Olimpiadi”.

The Golden Temple sarà proiettato in anteprima nelle Giornate degli autori durante il prossimo festival di Venezia.

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