Un flusso di 20 milioni di euro pagati dal faccendiere Pierangelo Daccò e dal suo braccio destro Antonio Simone. Di questi, circa la metà sono sicuramente finiti, secondo gli investigatori, a Roberto Formigoni, presidente della Regione Lombardia. Gli altri 11 milioni sono stati manovrati da Daccò in contanti. È il conto finale che emerge dall’ultima informativa della polizia giudiziaria di Milano, sezioni Guardia di finanza e Polizia di Stato.

Per le campagne elettorali. Duecento pagine dal titolo: “Le utilità a favore del presidente della Regione Lombardia”, inviate il 27 giugno 2012 al procuratore aggiunto Francesco Greco e ai pm Luigi Orsi, Laura Pedio, Gaetano Ruta e Antonio Pastore. Sono i magistrati che indagano sui conti di due colossi della sanità privata, San Raffaele e Fondazione Maugeri, e accusano Formigoni di corruzione e finanziamento illecito ai partiti. Secondo la relazione, una parte dei fondi del San Raffaele e della Maugeri, trasferiti illecitamente a Daccò e Simone, sarebbero serviti a finanziare le campagne elettorali di Formigoni e a pagare benefit di lusso per lui e il suo amico e coinquilino, Alberto Perego.

Un aiuto per la campagna elettorale del 2005. E almeno 600 mila euro per quella del 2010. Daccò ammette di averli ricevuti “a titolo di contributo elettorale per il Pdl”, transitati dal conto Ramsete (della Maugeri) al conto Sikri (di Daccò). Ma aggiunge “di aver trattenuto detta somma per sé”. È una “mera dichiarazione di circostanza”, sostengono gli investigatori, “per non coinvolgere l’amico politico”. Formigoni, infatti, manda addirittura un bigliettino di ringraziamento per il sostegno ricevuto al presidente della Fondazione, Umberto Maugeri.

Daccò e Simone, entrambi vicini a Comunione e liberazione, vengono definiti i “bancomat” che fornivano denaro a chi in Regione doveva sbloccare le pratiche a favore di San Raffaele e Maugeri. Per questa attività illegale, secondo l’accusa, hanno ricevuto molte decine di milioni di euro, 80 dei quali dalla Maugeri.

“Portafoglio di benefit”. “Una parte di questi fondi”, scrivono gli investigatori, “è stata utilizzata per l’acquisto, il mantenimento e il trasferimento di beni di lusso e per alimentare il vasto ‘portafoglio di benefit ’ di cui, negli anni, hanno beneficiato Roberto Formigoni e il suo entourage”. Almeno 4 milioni sono lo “sconto” di cui hanno goduto Formigoni e Perego a cui Daccò ha venduto una villa in Sardegna, “ceduta a un prezzo di 3 milioni”, a fronte di un mandato a vendere di 7 milioni. Ben 3,7 milioni li hanno ricevuti in spese sostenute per “acquisto e mantenimento di imbarcazioni di lusso, dal 2007 al 2011”. Oltre 800 mila euro in “vacanze in diverse località caraibiche (dal 2006 al 2011) e biglietti aerei”.

Altri 70 mila euro sono “spese sostenute da Daccò nell’interesse ‘politico’ di Roberto Formigoni in correlazione al Meeting di Rimini di Comunione e liberazione”. Un tesoretto di 500mila costituisce “le spese sostenute da Daccò presso rinomati ristoranti, nell’organizzazione di eventi e incontri con Roberto Formigoni e altri uomini politici, dirigenti e funzionari della sanità lombarda, dirigenti di strutture sanitarie pubbliche e private”. Questi i dettagli di spese a favore di Formigoni riscontrate, secondo l’accusa, dalla documentazione bancaria acquisita. In più, ci sono oltre 11 milioni di euro in contanti che Daccò ha movimentato e di cui non è stato possibile verificare la destinazione finale.

“Ampio meccanismo illecito”. Per gli investigatori, Daccò e Simone non sono “il terminale, ma l’ingranaggio di un più ampio meccanismo illecito” che unisce il San Raffaele e la Maugeri. Entrambi si servono di Daccò perché ha un legame forte con Formigoni, con il direttore sanitario della Regione Carlo Lucchina e con la dirigente regionale Alessandra Massei, definita “figura chiave nel contesto criminale che ruota attorno” a Daccò. Corrado Passerino, direttore generale della Maugeri, più volte interrogato in carcere dai pm e due giorni fa inviato agli arresti domiciliari, ha dichiarato: “Era evidente che il punto di riferimento di Daccò fosse il presidente Formigoni e che quando c’erano problematiche importanti da risolvere Daccò si rivolgeva direttamente a Formigoni”.

Gli fa eco la testimone Stefania Galli, segretaria di Mario Cal (il vicepresidente del San Raffaele morto suicida un anno fa): Cal “disse che tutto quello che lui aveva fatto era sempre derivato da ordini diretti che gli erano stati impartiti da Don Verzè. Ricordo che disse testualmente: ‘Io sono l’esecutore di Verzè, come Daccò lo è per Formigoni’”.

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