“Ora respiro aria di giustizia”. La Corte di cassazione ha appena confermato la condanna a tre anni e mezzo per i poliziotti e Lino Aldrovandi, il papà di Federico, in aula con tre girasoli, simbolo del Comitato verità e giustizia per Aldro, scoppia in lacrime. “Adesso mi sento un po’ in pace – sussurra – e vorrei ricordare Federico per quello che era e non per come l’hanno ammazzato”. Poi, rivolto a Lucia Uva, Domenica Ferrulli e Ilaria Cucchi, parenti di altre persone morte davanti a delle divise, sorride: “ormai siamo una famiglia”.

A Roma, ad assistere alla sentenza c’era anche Fabio Anselmo, l’avvocato che ha seguito la famiglia nel processo di primo grado come parte civile. “Abbiamo fatto la storia – esulta -; prima abbiamo cambiato la cultura delle gente, facendo capire che anche la polizia può sbagliare e non riesce ad ammetterlo; ora, con questa sentenza, muterà anche la cultura giudiziaria di fronte a casi come questo. Oggi si è scritto un precedente”.

Non era presente per problemi fisici ma ha seguito praticamente in diretta al telefono tutte le fasi principali Patrizia Moretti, la madre di Federico. “Ora lasciatemi piangere – sembra scusarsi – dopo che abbiamo lottato tanto”. Una battaglia, vinta, che però “non riporterà in vita Federico”. Quanto alla decisione della Cassazione, “quel po’ di giustizia dovuta è arrivata, ora penso a mio figlio e a tutti coloro che hanno subito una sorte simili alla sua ma non sono ancora stati nemmeno sfiorati da questa giustizia”.

I parenti di tutte le “vittime delle forze dell’ordine”, come le chiama Patrizia Moretti, erano presenti in aula. Oltre alle sorelle di Giuseppe Uva e Stefano Cucchi e alla moglie di Michele Ferrulli, c’erano il papà di Gabriele Sandri, Filippo Narducci di Cesena e Stefano Gugliotta di Roma. “Ora questa sentenza non riguarda più solo noi – insiste la madre -: deve portare a un cambiamento radicale nelle forse di polizia, i famosi casi di “autolesionismo” per coprire comportamenti violenti di uomini in divisa devono finire. E questo perché, come abbiamo chiesto fin dall’inizio, tutto questo non succeda più”.

Proprio dai massimi vertici della Polizia di Stato Patrizia Moretti si aspetta “dei passi avanti”. Il capo della Polizia Antonio Manganelli, quando la incontrò in forma privata l’anno scorso in occasione della festa del corpo che si teneva a Ferrara, le promise che una volta intervenuto l’ultimo grado di giudizio si sarebbe aperto un procedimento disciplinare. “Li aspetto al varco, ora non devono più vestire quella divisa. È questo che segnerà la differenza”.

Intanto, a margine dell’udienza, l’associazione Prima Difesa, intervenuta già nel processo di appello per difendere Monica Segatto (l’arringa in suo favore è stata fatta da Niccolò Ghedini, l’avvocato di Berlusoni) fa intendere che la sequela giudiziaria potrebbe non finire qui. “per noi sono innocenti e ricorreremo a Strasburgo”.

 

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