“Facevo tutto quello che mi era stato detto di fare all’interno di un sistema di relazioni fiduciarie”. L’ex tesoriere della Margherita, Luigi Lusi, ribadisce la sua versione sul caso dei rimborsi elettorali sottratti al partito. Tradotto: i vertici erano a conoscenza di tutti i soldi che uscivano dalla cassa. Di più, erano loro a ordinare le operazioni. “Ho applicato nei fatti un patto fiduciario”, dice Lusi intervistato da Maria Latella su Sky. Si difende in vista del voto di mercoledì prossimo, quando il Senato deciderà sulla richiesta di arresto avanzata dalla procura di Roma, che lo accusa, tra l’altro, di appropriazione indebita e associazione per delinquere. Annuncia che non chiederà di patteggiare la pena. E ridimensiona quanto detto in passato sul centrosinistra (“se parlo, salta”): una frase che ora non ripeterebbe più.

“Il patto scellerato – spiega Lusi – è stato quello di accettare da parte mia di compiere delle operazioni senza che la richiesta venisse scritta da alcuna parte. Nei partiti non c’è un meccanismo come il consiglio di amministrazione dove qualcuno scrive le delibere e qualcuno le esegue. Non c’è una spesa che io abbia sostenuto che abbia dietro uno scritto. Il tesoriere è uno che esegue degli ordini, che sono verbali. Se ora nessuno li conferma, allora te li sei inventati tu”. Parole che suonano come accuse implicite a chi, secondo Lusi, non poteva non sapere. Come Francesco Rutelli ed Enzo Bianco, membri del gruppo dirigente del partito confluito nel 2007 nel Pd.

L’ex tesoriere dice di avere chiesto di svelare i conti del partito, di scoprire le carte. Ma – accusa – quelli che allora erano i vertici della Margherita non sono d’accordo. Parole che arrivano il giorno dopo dell’assemblea federale che ha sancito lo scioglimento del partito. Una decisione presa a porte chiuse, senza che nessun giornalista potesse assistere, tanto che Arturo Parisi, uno dei fondatori, se n’è andato via subito parlando di “colpo di Stato”. La società KStudio Associato, incaricata di controllare i conti, ha certificato che le uscite curate da Lusi non documentate ammontano a oltre 26 milioni di euro. Lusi ribadisce: “Ho fatto operazioni sulla base di accordi verbali, questo è stato il mio errore. Dei 194 milioni di euro spesi in 11 anni non c’è alcuna traccia scritta”. Gli ex compagni di partito lo accusano di avere truccato i conti, ma il senatore si difende: “Tutte le spese sono alla luce del sole. Le mie spese venivano controllate. C’erano tre organi che controllavano, i revisori dei conti avevano in mano di tutto”.

Sul processo che dovrà subire, Lusi dice di non voler ricorrere al patteggiamento: “Devo recuperare onorabilità e dignità rispetto alla mia famiglia ed al Paese, non patteggerò, mi difenderò nel dibattimento”. Per quanto riguarda la richiesta di arrresto su cui questa settimana si esprimerà il Senato, l’ex tesoriere chiede di votare contro: “Non ci sono gli elementi sul pericolo di fuga e della possibilità di inquinamento delle prove e della reiterazione del reato”. E se invece finirà in carcere, sostiene di avere già “un’idea per essere utile al Paese”. L’ex tesoriere si dice “preoccupato per moglie e figli”. E torna sull’episodio di qualche giorno fa, quando una persona incappucciata ha dato fuoco alla centralina elettrica accanto al cancello elettrico della sua abitazione.

Infine fa marcia indietro sulla frase detta lo scorso marzo a un inviato di Servizio pubblico che lo riprendeva di nascosto (“questa partita fa saltare il centrosinistra”): ”E’ una frase che non avrei mai detto pubblicamente. E’ una frase che viene fuori da uno stato d’animo appesantito, non la ridirei e conferma che si trattava di un colloquio riservato e rubato. E’ eccessiva. Non credo che il futuro del centrosinistra dipenda da me”.

 

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