La prima scintilla è forse occasionale, l’approdo attuale lungamente inseguito. Quando Giuseppe Piero Grillo pronuncia la battuta sui socialisti ha 38 anni e un presente nazionalpopolare. Fantastico 7, 15 novembre 1986. Presenta Pippo Baudo, che lo ha scoperto dieci anni prima in un teatro semivuoto milanese, La bullona. “La cena in Cina… Martelli ha chiamato Craxi ehadetto:‘Masentiunpo’,quace n’è un miliardo e son tutti socialisti?’. E Craxi ha detto: ‘Sì, perché?’. ‘Ma allora se son tutti socialisti, a chi rubano?’”. Tangentopoli è lontana, la censura no. Craxi chiama Baudo, che eroicamente scarica Grillo e ne benedice la cacciata. È la prima svolta in un percorso che sembrava quello di un Benigni meno cinematografico (l’ultimo Dino Risi chiosò: “Grillo è più attore adesso di prima”).

Una roba pazzesca

Nato a Genova il 21 luglio 1948. A trent’anni è già presentatore al Festival di Sanremo. Te la do io l’America, Te lo do io il Brasile, Cercasi Gesù. I capelli ricci, “una roba pazzesca”. Vittorio Sgarbi lo conosceva già: “Uno scemo patentato”, che “viaggiava con una Porsche bianca come un bullo di periferia” e “frequentava casa per vedere mia sorella 15enne”. Nel 1988 è condannato per omicidio colposo plurimo, poiché responsabile della morte di due coniugi e del loro figlio di 8 anni. Il fuoristrada guidato da Grillo scivolò su una lastra di ghiaccio, non distante da Limone Piemonte, e finì in un burrone. Grillo si gettò fuori dall’abitacolo prima di precipitare. Non l’ha mai nascosto, specificando che quella condanna gli impedisce una candidatura peraltro mai desiderata. Così il 16 settembre 2005 nel blog: “Ho avuto un incidente di macchina nel 1980, guidavo io, mi sono salvato per miracolo, ma sono morte tre persone che erano con me e sono stato condannato per omicidio colposo a un anno e tre mesi . Non mi candiderò al Parlamento”.

La seconda svolta, più deliberata della prima, è l’approdo a una satira che inventa: quella “ecologico-economica-politica”. Colpire soltanto i politici non basta. A terrorizzare è altro: finanza, stupri ambientali, dittatura del mercato, onnipresenza della pubblicità (che ha fatto: per la Yomo). Dopo l’esilio forzato, Grillo gravita come superospite a Sanremo. Record di ascolti e battute eternate (Jovanotti “cureggina”). Buone notizie (1991) dà inizio alla sistematica opera di controinformazione che lo rende credibile agli occhi del suo pubblico. Testi di Michele Serra, oggi in prima fila a dargli del “qualunquista demagogo populista” con Eugenio Scalfari e altri maître à penser. Regia di Giorgio Gaber, con cui condivide la scelta di abbandonare la tv per coltivarsi una tribù di carbonari in teatri e palazzetti. Il Beppe Grillo Show del 92/93 è l’unico Grillo savonaroliano trasmesso in Rai.

Propaggini catodiche si verificano a fine anni Novanta su Tele+, con i Discorsi all’Umanità. Poi arriva Murdoch, che lui chiama “Merdoch” per quel vezzo bambinesco di storpiare i cognomi come Guglielmo Giannini. Da allora solo teatro. Grillo non si improvvisa politico: lo è da vent’anni. Prima nei Palasport, ora in Rete. Visceralmente incapace di dialogare, feticisticamente legato al monologo. Grillo non frequenta i talkshow perché li odia (la teoria) e perché non sa condensare un pensiero in pochi secondi (la pratica ). Vive il paradosso semantico di fare politica con gergo da comico, da qui i molti cortocircuiti linguistici (mafia, evasione, Ius Soli). Generalizzatore per strategia, sa incassare la risata – e il consenso – di pancia. Quando nel 2005 lo ricercò l’Espresso, si premurò che “l’intervista uscisse bene: ci tengo”. Di fronte all’idea di dedicargli pagine, il capocultura si stupì: “Scusate, ma Grillo fa ancora qualcosa?”. L’attenzione dei media era quella (poco dopo sarebbero arrivate le sportellate con un’altra firma del settimanale, Alessandro Gilioli). Carattere spigoloso.

Da Moana all’Apocalisse

Il voto (“7”) da amatore che gli dedicò Moana Pozzi, le lacrime per Fabrizio De Andrè di cui fu testimone di nozze (“Dio non poteva prendersi Toto Cutugno?”). L’amicizia con Mina, Benni, Crozza. La vicinanza con Antonio Ricci, che lo ritiene uno straordinario centravanti di sfondamento con problemi nell’argomentare. Il conflitto con Daniele Luttazzi, che gli ha dedicato lucide pagine di critica e che anni fa si lamentò per una battuta rubata su Papa Woytjla e Parkinson. “Gli telefonai e mi rispose il suo manager. Grillo ripeteva: ‘Dì a Luttazzi che gliele rubo tutte, sono troppo belle’”. Grillo non ha mai amato il collega (“Va sempre in giro col leggìo?”, chiedeva sarcasticamente nei camerini), che è nel frattempo inciampato in un caso-plagio appena più ingombrante.

Il miglior Grillo ha usato i palazzetti per dare notizie che giornali e tivù dimenticavano. Lì si è cementata la credibilità: 1991-2005. Le premonizioni (Parmalat), le querele (una, persa, perché chiamò “vecchia puttana” Rita Levi Montalcini). Verde sui generis, sinistrorso sui generis, satirico sui generis. Genera appartenenza per contrasto. Le citazioni di Glenn Gould, la presenza scenica, il sudore copioso. Le battute ripetute. Il blog, nato il 26 gennaio 2005 per volere dell’alter ego Gianroberto Casaleggio (in grado secondo alcuni di plagiarlo) è lo sfogo naturale di una vita urlata. Cantonate, (la Biowashball, “L’Aids non esiste”), testacoda (i computer spaccati sul palco nel 2000), vaffanculo seriali. Del Movimento 5 Stelle è “semplice megafono” di una “democrazia dal basso”, ma il suo predominio è innegabile. Mal tollera il dissenso, tende a scomunicare i grillini poco osservanti. Ha catalizzato anzitutto gli orfani di sinistra perché, oltre a parlare di acqua pubblica e delitti sottaciuti (Federico Aldrovandi), ne ha incarnato la parabola. Nel 2006, stremato da Berlusconi, votò “un partito minore legato alla coalizione Prodi”. Poi vide Mastella alla Giustizia e l’indulto.

Netta la rottura: “Meglio un nemico vero di un amico finto”. Ecco perché è molto duro con il Pd (ampiamente ricambiato). Più lo attaccano e più cresce: è la sua tazza di tè. Manicheo, cocciuto, paraleghista più che paraculo. Padre un po’ padrone di ragazzi mossi da sincera passione. Per nulla antipolitico, casomai anti-casta. Ieri erano spettacoli da ricordare e ora comizi non sempre memorabili, ma il porto su cui ha attraccato il marinaio Grillo era l’unico possibile. Apocalisse morbida di un iconoclasta coerente.

Il Fatto Quotidiano, 9 Maggio 2012

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