Si sentono e soli e falliti come uomini prima che come imprenditori. Dopo una vita spesa tentando di far crescere un’impresa che spesso assorbe ogni energia, si ritrovano con creditori che non pagano più, banche che non concedono credito e cartelle esattoriali che si fanno giorno dopo giorno più minacciose e pesanti. C’è chi decide di farla finita, e la marcia della vedove di Bologna è la dimostrazione che il problema è ormai diventato esplosivo. “Perdere il lavoro che ci si è costruiti da soli – spiega Manuela Colombari, presidente dell’Ordine psicologi dell’Emilia Romagna – è uno dei momenti più difficili che si possono incontrare nella vita dal punto di vista dell’impatto psicologico”.

E’ possibile individuare una causa comune a tutti i recenti casi di cronaca?

“Si parte da una situazione di crisi personale, e da questo punto di vista ogni individuo è diverso dagli altri, con la sua storia pregressa e le sue individualità. Chi decide di compiere un atto estremo lo fa perché esasperato, e spesso le ragioni della perdita del lavoro si sommano ad altri problemi personali. Un divorzio, un lutto in famiglia, un parente ammalato in maniera seria. E’ la disperazione che spinge queste persone a fare quello che fanno. Solitamente però a venire meno sono le reti di sostegno. Chi reagisce in maniera aggressiva, contro se stesso o gli altri come nel caso di Bergamo, lo fa perché si trova completamente solo. Senza supporto dalla famiglia, dagli amici o da altre reti sociali che con la crisi si sono indebolite. E’ un circolo vizioso da cui non si riesce ad uscire: le reti sociali si sfilacciano, la persone si ritrovano ad affrontare da sole la perdita del lavoro e dell’azienda, e a quel punto non riescono più ad immaginarsi un futuro.

Come se ne esce?

Sicuramente non da soli. Rimanere inerti ad aspettare che il problema passi da sé significa spesso lasciarsi andare, o scegliere perché esasperati di farla finita. Da questo punto di vista le iniziative di sostegno psicologico o di consulenza che stanno nascendo in Italia, spesso promosse delle varie Camere di Commercio, sono sicuramente un passo avanti. Un modo per dire a queste persone che ci sono sempre delle porte aperte e che ci può ancora essere una soluzione.

Il corteo di oggi a Bologna è allora un fattore positivo. Si tratta di persone, in questo caso le vedove degli imprenditori che si sono tolti la vita, che hanno deciso di reagire e di non tenersi tutto dentro.

Il corteo delle bandiere bianche di oggi va esattamente nella direzione giusta. Di fronte ad un problema enorme chiudersi dentro il proprio dolore non paga mai, è la cosa peggiore da fare. Bisogna confrontarsi, discutere e fare discutere. L’importante è socializzare il problema e trasformare una tragedia privata in un problema pubblico non più individuale, ma sociale. Di certo questo corteo non dà soluzioni immediate, ma aiuta chi vi ha partecipato a immaginarsi un futuro, a non restare inerti di fronte in questo caso al lutto. Bisogna uscire dalla crisi, e questo non si può certo fare da soli ma è una sfida che deve impegnare tutta la società. Ma bisogna anche tentare di ridare al lavoro quella valenza positiva che aveva un tempo.

A Bergamo un uomo si è barricato nella sede dell’Agenzia delle Entrate. Perché una reazione tanto differente rispetto a chi sceglie il suicidio?

La disperazione è il fattore comune. Persone esasperate che però reagiscono in base alle caratteristiche personali. Si tratta però sempre di aggressività: contro se stessi o contro gli altri. Per dirla in parole povere: c’è chi si suicida e c’è chi decide di prendere in ostaggio altre persone, ma la radice del problema è la stessa, semplicemente ognuno ha il suo modo di reagire. Non mi sentirei di escludere che nei prossimi mesi si ripeteranno altri casi come quello che abbiamo visto a Bergamo. Purtroppo potrebbe essere solo la prima di una serie di azioni di questo tipo.

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