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Lavoro: quando i figli stanno peggio dei padri

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Si suicidano gli imprenditori, si danno fuoco gli artigiani, sale la disoccupazione, scendono le tutele, aumentano i prezzi, la precarietà diventa cronica, gli inoccupati smettono di cercare, i salari sono fermi da anni, crescono le tasse, rincarano le bollette, i negozi sono vuoti, si comprano meno libri (decrescita: 30%) meno vestiti, meno scarpe.

A mangiare tagliolini al caviale ci vanno i tesorieri dei partiti, ma metà degli italiani risparmia anche sulla pizza del sabato sera.

Nascono nuove categorie di disgraziati. Gli esodati: troppo vecchi per il lavoro, troppo giovani per la pensione. I ricattati: quelli che “se non vi garba lo fruttamento sposto la fabbrica verso est”. Gli autolesionisti organizzati: quelli che vanno a vivere sulle gru, sulle impalcature, nelle carceri abbandonate sulle isole deserte… giocandosi l’unica cosa che hanno da perdere, data la scomparsa delle compiante catene: la vita.

Per la prima volta nella storia dell’umanità, i figli stanno peggio dei padri. L’operaio che voleva “il figlio dottore”, vuole il figlio operaio, ma non lo ottiene. Il lavoro non è più un diritto, è un privilegio. Se ti dice c… lo trovi, se dai via il c… forse lo mantieni. Ma forse no. Vogliamo proprio farla “la festa” ai lavoratori?

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