Il 31 luglio i partiti italiani metteranno le mani sulla penultima delle cinque tranche dei 500 milioni di euro che hanno ottenuto come “rimborso” per le elezioni politiche del 2008. Poco più di cento milioni di euro saranno versati nelle loro casse già traboccanti di denaro con un tempismo scandaloso. Solo un mese e mezzo prima infatti, il 15 giugno, i contribuenti saranno costretti a pagare la stangata dell’acconto Imu.

Nonostante lo scandalo della “family”, la Lega potrà mettersi in tasca un’altra decina di milioni di euro da spendere per una quarta laurea finta o per l’ennesima supercar di Riccardino e Renzino Bossi. Anche il Partito democratico incasserà decine di milioni di euro e chissà se qualcuno avrà il coraggio di reclamare la quota stabilita per la componente ex Margherita dall’ex tesoriere Luigi Lusi. Anche a via Due Macelli, nella sede dell’Udc, pioverà una manciata di milioni e a gestirli forse sarà quel Giuseppe Naro che – secondo il racconto dell’imprenditore Tommaso Di Lernia – proprio in quel palazzo a due passi da Piazza di Spagna incassava le mazzette.

Ora il ministro della Giustizia Paola Severino ci dice che “il governo è pronto a intervenire anche con un decreto legge sul finanziamento ai partiti” ovviamente però solo “quando il Parlamento lo chiederà”. Ora anche Pier Ferdinando Casini scopre che serve una legge diversa da quelle che ha votato e applicato per decenni.

Più di due mesi fa, il primo febbraio del 2012, il Fatto aveva lanciato, con un articolo di Marco Travaglio, una raccolta di firme per riformare il finanziamento ai partiti. La nostra proposta (ignorata allora da Casini e Severino) è ragionevole e non prevede l’abolizione del finanziamento pubblico. È basata su quattro punti, il primo dei quali è: “I rimborsi elettorali non possono superare un certo tetto e devono essere erogati solo a fronte di fatture e ricevute che documentino le spese effettivamente sostenute in ogni singola campagna elettorale”.

Questa resta l’unica strada percorribile per evitare che il discredito travolga i partiti e per mantenere una forma di sovvenzione trasparente alla politica. Un Paese che ha un governo dominato dalla lobby delle banche e una maggioranza guidata da Silvio Berlusconi non può rinunciare a cuor leggero al contributo dello Stato alle forze più deboli.
Serve però una legge subito, prima del 31 luglio. Altrimenti ben venga un referendum.

Il Fatto Quotidiano, 8 Aprile 2012

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