Due strofe in dialetto modenese, e una terza sempre in dialetto ripetuta in fondo al brano, sulla storia di un muratore campano che “sale” al Nord lasciando famiglia e cuore nel profondo sud. Capita così che Francesco Guccini appaia come ospite speciale nel nuovo disco di Enzo Avitabile, Black Tarantella, e offra una prestazione grintosa nel pezzo Gerardo Nuvola ‘e povere (Gerardo Nuvola di Polvere), terza traccia del disco in cui con Avitabile duettano anche Bob Geldof, David Crosby e Franco Battiato.

In attesa del nuovo album che a detta dei suoi più stretti collaboratori è già in lavorazione, e di svelare il misterioso arcano che lo avvolge, ovvero se i live del “maestrone” continueranno in futuro dopo l’ultimo sofferto concerto dell’Unipol Arena del dicembre scorso a Bologna, ecco la performance che non t’aspetti, ma che flirta dialetticamente con la passione per il blues e per le radici popolari che il Guccio continua a mantenere vivi con la sua terra.

“A ‘n n’è mica facil laser la ca per cater che so da lavurer (non è mica facile lasciare la casa per trovare quassù da lavorare)”, canta Guccini, “laser paes, i fioo, la muiera, laser il dialatt, laser la vida (lasciare il paese, i figli, la moglie, lasciare il dialetto, lasciare la vita)”. Questi i versi iniziali della parte cantata dall’autore modenese, descrizione fitta fitta di particolari su Gerardo il muratore “terrone” che arriva a Modena ed è subito “estraneo”, politicamente impegnato, anarchico come fosse uscito da La locomotiva, in un tempo non tanto lontano che sembra gli anni settanta.

“Mè a i era sol al so frutarol, ma a i era amigh cun cal terun (Io ero solo il suo fruttivendolo, ma ero amico con quel terrone), perché a ‘n n’era mia ‘na ligera, ma ‘na persouna cun un gran cor (perché non era un poco di buono, ma una persona con un gran cuore)”, proseguono i versi di questo duetto Nord e Sud, Guccini e Avitabile, ritmato a suon di corde pizzicate.

“Sono stato a Pavana è ho fatto ascoltare a Francesco, Gerardo Nuvola ‘e povere”, spiega Avitabile, “E’ la storia quasi vera di un uomo emigrato a Modena, nostalgico di una sinistra che gli garantiva sogni e diritti, morto sul lavoro. Francesco era affascinato dal mio dialetto e mi ha regalato il suono appenninico del suo”.

Dopo la stesura di un vocabolario di pavanese, la traduzione della Casina di Plauto sempre in pavanese nel 1992 e un blues in modenese negli anni settanta, Guccini torna al dialetto come forma linguistica musicale per porre una nuova tappa nel suo palmares d’artista: il duetto con un collega, un po’ come i grandi musicisti pop americani amano fare nei momenti celebrativi.

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