È incaricato dagli enti locali di riscuotere le tasse. È a capo di una specie di “piccola equitalia”. Proprio lui sarebbe coinvolto in una maxi-evasione fiscale da due milioni di euro. Manlio Maggioli, presidente dal 1994 della Camera di commercio di Rimini, editore e proprietario di un’importante concessionaria per la riscossione tributi, nei giorni scorsi si è visto recapitare dai magistrati romagnoli un avviso di fine indagine. L’inchiesta è una di quelle riguardanti il Credito di Romagna, la banca commissariata nel 2009 dall’allora ministro Giulio Tremonti per violazione sulle norme contro il riciclaggio.

L’uomo, secondo l’accusa, teneva un bel gruzzolo nascosto in una banca di San Marino. Mai dichiarato al fisco. Soldi che poi sono stati “legalizzati” grazie allo scudo fiscale, ricorrendo alla fiduciaria bolognese Sofir, e subito rigirati sul Titano. Nonostante tutto fosse stato studiato per mantenere l’operazione riservata, un atto del secondo filone di inchiesta della Procura di Forlì sul Credito di Romagna (commissariato dal ministro dell’Economia e delle Finanze su proposta di Bankitalia nell’estate del 2010 per i legami con l’Ibs di San Marino) ha fatto emergere tutto.

Adesso a cercare di spiegare perché nascondeva all’erario almeno due milioni di euro non è uno dei tanti imprenditori riminesi che tuttora trasferiscono denaro nelle banche di sammarinesi, ma è proprio Maggioli, che tra gli incarichi è stato anche ex presidente del Credito di Romagna. Maggioli che attraverso ha ricevuto dalla Procura forlivese l’avviso di fine indagini insieme con altre 17 persone già nei vari Cda di Credito di Romagna e Ibs (il documento è firmato dal procuratore Sergio Sottani, che a Perugia si occupò del caso G8 Grandi eventi, e dai sostituti Fabio Di Vizio e Marco Forte, autori delle inchieste Varano e Re Nero sulle relazioni finanziarie tra Italia e San Marino).

C’è da dire, intanto, che Maggioli sul tema e affini non è nuovo a uscite poco felici. Un paio d’anni fa fece discutere quando dichiarò che, in sostanza, di fronte alla crisi le piccole imprese sono di fatto costrette a evadere. Per non dire dei commenti a metà gennaio sull’inchiesta Criminal Minds (oltre 150 uomini e 45 perquisizioni in mezza Italia per scovare le nuove infiltrazioni malavitose tra le imprese della riviera): “I fatti sono fatti ma io credo- aveva detto a caldo poco più di un mese fa il presidente camerale riminese- che certe notizie a volte vengano in qualche modo esasperate. Penso che possa capitare a qualunque imprenditore, anche il più serio, di trovarsi in contatto con degli ambienti che non sono il massimo della trasparenza. Ma io credo che la stragrande maggioranza del tessuto imprenditoriale riminese non abbia connessioni con la malavita o il denaro sporco. Mi sembra una città troppo trasparente perché questo possa accadere a Rimini. Si sa tutto di tutti, nel bene e nel male”.

Dunque, ora si sa davvero tutto di tutti, nel bene e nel male e anche su Maggioli. Il numero uno della Camera di Commercio, fra l’altro, è proprietario di un gruppo editoriale da oltre 100 milioni di euro di fatturato nel cui core business figura proprio la ‘caccia’ a chi non paga le tasse, per conto degli enti locali, attraverso bollettini e ingiunzioni di pagamento. Nel gruppo Maggioli, fra l’altro, è appena stata chiesta la cassa integrazione per 19 dipendenti (13 settimane, di cui nove a zero ore).

In ogni caso, sarebbero tre i mandati fiduciari accesi da Maggioli per scudare liquidità personale (i due milioni) e titoli azionari depositati all’Ibs: il patrimonio sarebbe transitato sul conto della fiduciaria bolognese Sofir presso Ibs per poi ritornare in un conto della stessa banca del Titano.

Il diretto interessato, intanto, si difende facendo spallucce e dice di non capire il clamore: “La questione dei capitali scudati? È roba vecchia. Si tratta di un condono fatto nel 2009, lo hanno fatto in diversi e l’ho fatto anch’io per mettermi in regola”, osserva Maggioli.

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