Nel 1981 Augusto Roa Bastos, autore paraguaiano del secolo scorso, pronunciò ad un congresso di scrittori un discorso dedicato al libro e al mondo che ruota attorno ad esso: El texto cautivo. (apuntes de un narrador sobre la producción y la lectura de textos bajo el signo del poder cultural).

L’intervento, diventato poi saggio e raccolto dalla rivista Anthropos in un volume dedicato all’autore all’inizio degli anni ’90, analizza la relazione scrittore/lettore all’interno dell’industria culturale moderna. L’interesse che le multinazionali della cultura dimostrarono per la letteratura ispanoamericana a seguito del “boom” degli anni ’60 rappresentava, secondo Roa Bastos, un pericolo per l’identità culturale dell’America Latina. L’internazionalizzazione della cultura avrebbe portato alla non diversità e il libro avrebbe subito una “cosificazione” che ne avrebbe ridotto l’impatto culturale, rendendolo inutile.

Augusto Roa Bastos, che in quegli anni viveva in esilio e che prima di essere scrittore era stato giornalista, aveva sempre scritto con l’obiettivo di lavorare eticamente per la sua comunità al servizio di una letteratura in cui l’uomo potesse vedere sé stesso e nella quale la realtà trovasse un modo di esprimersi al di fuori delle strutture prestabilite dalla Storia ufficiale. Nel suo discorso si preoccupa di reclamare un’indipendenza culturale per l’America Latina che fosse coerente con le necessità politiche e sociali che la caratterizzano e permettesse un accesso all’espressione della cultura anche alle identità marginali.

È solo attraverso un’indipendenza culturale che l’America Latina può, secondo Roa Bastos, mantenere l’eticità della propria letteratura. In un panorama “massificato” anche il lettore sarebbe privato della sua autonomia di scelta e questo inficerebbe il risultato degli atti culturali. È nell’atto della lettura che il libro si “emancipa” dall’autore per diventare un oggetto a sé, libero, integrato nella società grazie all’interpretazione che il lettore ne fa durante l’atto di leggere e alle relazioni (nuove, esclusive e indipendenti) che questi stabilisce con esso. È in quell’attimo che la parola scritta, sottolinea Roa Bastos, torna al suo status originario di “parola orale” e può permettere alla realtà scritta, quella letteraria, di trovare il suo vero senso che “non significa […] convertire il reale in parole ma fare in modo che la parola sia reale”.
Ciò che interessa a Roa Bastos è il momento della lettura come occasione di fruizione e interpretazione di un testo e nella circostanza in cui gli scrittori o l’industria culturale modificano il fine letterario del libro influenzandolo con obiettivi commerciali o estetici l’atto letterario diventa, per lui, inutile. Per questo il consiglio finale del saggio è di rimanere concentrati sulla “parola” perché fulcro della creazione e della fruizione dell’atto culturale della lettura: “si la lengua es el último refugio de las colectividades amenazadas, es desde este reducto donde los escritores podemos librar la única batalla que nos está permitida: el trabajo de expresión y creación de valores éticos y estéticos como fundamento de las relaciones entre el sujeto y la historia; es decir, entre el hombre y la sociedad”.

Oggi, lontani dal contesto culturale originale e da un altro punto di vista potremmo leggere El texto cautivo come un monito ad un uso consapevole della lettura. La facilità di creare relazioni dirette nel circolo autore/editore/lettore potrebbe inficiare, nella supposta libertà che se ne fornisce, la fruizione del libro come atto culturale. La soluzione potrebbe essere quella proposta da Roa Bastos di concentrarsi sulla parola, sull’ambito della cultura e ripensare le nostre relazioni con il libro e il mondo che gli gira intorno, andando alla ricerca di un’indipendenza consapevole che tenga conto dei fattori extra letterari che si muovono attorno al libro, al lettore e all’editore.

Sara Carini

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