Il 22 febbraio prossimo all’Auditorium Parco della Musica di Roma Maria Pia De Vito, accompagnata dal pianista e compositore inglese Huw Warren, presenterà il suo ultimo disco: ‘O pata pata (Parco della Musica Records, 2011). Un disco ricco di atmosfere che rispecchia appieno la versatilità e la sensibilità di una delle più straordinarie e raffinate voci del panorama jazz europeo. Da gustare sino all’ultima nota, ‘O pata pata, passa con delicatezza da virtuosismi a struggenti melodie brasiliane cantate in napoletano. Il titolo è tutto un programma e a spiegarlo è la stessa Maria Pia De Vito all’interno del booklet del disco: «a Napoli, quando un acquazzone è ormai prossimo, le nubi sono basse e l’aria inizia a profumare di terra umida, si dice in quella splendida lingua onomatopeica e polposa, ritmica e croccante che è il napoletano che «sta arrivanno ‘o pata pata ‘e ll’acqua». ‘O pata pata è un auspicio perché le nuvole scure, basse e gonfie si aprano e un bagno liberatorio e purificatore liberi Napoli dai miasmi dell’immondizia e dall’indifferenza generale che la vuole brutta, sporca e cattiva». Abbiamo avuto l’onore di avere la sua bellissima voce nella titletrack che apre il nostro: Naples Power e così ne abbiamo approfittato per farci raccontare come è nato il suo ‘O pata pata:

“‘O Pata Pata è il secondo disco prodotto con Huw Warren, pianista inglese con cui ho già inciso Dialektos. Come allora, il lavoro avvicina elementi provenienti da diverse matrici culturali, attraverso un dialogo improvisativo e compositivo molto intenso tra noi due! In tutto il periodo di ideazione e registrazione del disco, io ero molto disturbata dalle orrende cose che stavano accadendo a Napoli. L’immondizia, la crisi politica, i continui scandali. Ero arrabbiata e dispiaciuta più che mai e quindi ho dedicato il disco a Napoli e l’ho cantato tutto in Napoletano.

Hai dedicato questo lavoro alla gente di Terzigno, di Napoli e del Casertano e alle terre avvelenate dall’incuria umana, perché?
Ho partecipato al concerto per la Terra dei Fuochi. Ad invitarmi la cittadinanza attiva di Santa Maria Capua Vetere, preoccupata per la salute dei propri figli a causa del fumo, sotto casa, proveniente dai grandi roghi di immondizia, appiccati abusivamente. Ho visto, in televisione, la gente di Terzigno ferita e minacciata nella salute. Le immagini dei limoni deformi che crescono sugli alberi, e intanto scontri di dubbia matrice, nei quali i camorristi si mescolavano alla gente comune. Così di fronte agli orrendi commenti di politici e cittadini del nord – per la serie: “che se la tengano loro, la loro immondizia” – mi si sono rivoltate le budella. Brutti sporchi e cattivi, come al solito. Mi sono proprio arrabbiata.

Come ho ricordato più volte in diverse occasioni, nell’87, di ritorno da una registrazione a Milano, mi ritrovai su un treno dove un vagone merci si incendiò. Ci fecero scendere alla stazione del Vernio, in attesa che arrivasse un altro treno. Cominciò a girare la voce che sul vagone ci fossero dei fusti radioattivi, salimmo su un treno solo 3 ore dopo. In seguito  solo il quotidiano Paese Sera riportò la notizia, confermando che sul vagone c’erano dei fusti con materiale “delicato” proveniente da un grande ospedale del nord e destinato a una discarica napoletana. Peccato che l’articolo dicesse anche che non c’era pericolo per i passeggeri che erano stati portati via da autobus della protezione civile. Non era vero, noi quegli autobus non li abbiamo mai visti. Avvelenano il nostro territorio da decenni e noi ci prendiamo un’altra croce. Mi sono detta: ora basta! E ho scritto il testo di Pata Pata.

A Napoli ‘O Pata pata ‘e l’acqua significa un acquazzone fortissimo. E’un auspicio perché le nuvole scure, basse e gonfie si aprano e un bagno liberatorio e purificatore liberi Napoli dai miasmi dell’immondizia e dall’indifferenza generale che la vuole brutta, sporca e cattiva. Ho auspicato l’arrivo di un Pata Pata per ripulire Napoli da cause e concause di questi scempi. Il giorno in cui il disco è uscito dalle stampe è stato eletto De Magistris a Napoli, l’ho preso come buon auspicio. Speriamo bene.

Tra le melodie  più suggestive del disco c’è Vucella come è nata?
Vucella” è l’adattamento di “Assum Branco”, una bellissima canzone di Jose Miguel Wisnik, fantastico compositore – non conosciutissimo in Italia – e ordinario di letteratura presso l’università di San Paolo del Brasile. E’ una canzone dedicata alla voce, e alla capacità della musica, del canto, di portare lo spirito in un luogo altro, dove il tempo e le preoccupazioni scompaiono, un balsamo che giunge a risollevare  l’anima, come una pioggia nel deserto. L’ho adorato, l’ho tradotto alla mia maniera e poi con Huw e Ralph ne è venuta fuori una canzone che a me piace tanto.

Che consigli daresti a chi vorrebbe intraprendere la carriera di cantante?
Direi che la cultura e la  preparazione sono  il miglior antidoto contro le manipolazioni cui ci si trova esposti quando si è giovani e inesperti. Bisogna essere musicisti, prima che cantanti, e non dipendere dalle scelte altrui. Inoltre in questo momento il modo di lavorare con la musica sta cambiando. Laddove la discografia si indebolisce sempre più, c’è bisogno dell’autonomia e della collaborazione di persone con cui si possa condivide ideali e visioni del mondo. Forse questa crisi aiuterà un po’ a far associare di più tra loro i musicisti in iniziative dal basso. Fondare una propria etichetta, una propria casa editrice, attivare dei meccanismi di collaborazione e sharing. Un po’ come abbiamo fatto anche noi, Daniele, no? Ci siamo incontrati grazie a Canio Lo Guercio e alla fine ho cantato per voi nel vostro Naples Power.

Il fai da te, con un po’ di intelligenza e senso pratico, è la parola d’ordine, in attesa che i nostri governanti si convincano, finalmente, che la cultura può essere, come in Francia, una voce  importante nel Pil del paese. O dobbiamo morire teledipendenti per forza? L’Italia si è abbrutita, da questo punto di vista, negli ultimi 20 anni.

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