“Salma numero sei. Immigrato non identificato di sesso maschile etnia africana di colore nero”. Ecco, adesso a Lampedusa gli uomini e le donne che hanno perso la vita nel Mediterraneo si ricordano attraverso il colore della pelle. Non hanno un nome, si dirà, e quindi neanche un familiare che possa portare un fiore su quelle tombe malmesse nel piccolo cimitero dell’isola, a pochi passi dal mare in cui sono annegati. Ma perchè fare riferimento al colore della pelle? Tra l’altro si è mai visto affiorare il cadavere di un bianco, tra le centinaia che il mare ha restituito?

La verità è che le lapidi comparse sui sei loculi degli immigrati morti nel naufragio del primo agosto 2011 sono la cattiva copertura di una storia incredibile. Le tombe vennero erette in fretta e furia dal sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis. Tre da una parte, tre dall’altra. In mezzo, uno strettissimo vano cementificato con una scritta sopra, “numero 3 cadaveri”, e una freccia ad indicare la sepoltura sottostante.

Cosa era successo? Qualche mese prima, l’8 maggio, c’era stato un altro naufragio. Altri tre corpi di migranti restituiti dal mare. De Rubeis li volle seppellire in pompa magna, con tanto di tv e carabinieri schierati. Ma, si sa, i posti in un piccolo cimitero scarseggiano sempre. E così, quando il primo agosto arrivò un barcone carico di altri disperati e 25 cadaveri, De Rubeis fece costruire una cappella con 6 loculi, proprio sulle tombe degli altri 3. Fatto anomalo, se si pensa che la magistratura potrebbe un giorno aver bisogno di riesumare quei corpi.

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