Te le immagini pressappoco così, loro due: un salotto ospitale, la luce bassa di un pomeriggio d’inverno, nella Milano vorticosa della prima, o nella Torino cabalistica dell’altra, Franca Valeri comoda su una poltrona in velluto, Luciana Littizzetto in punta sullo sgabello di un piano.

La prima: salace, netta, misurata. La seconda: sprezzante, più impudente persino. Col cinismo come unico collante, te le immagini, un giro di perle per due. Mai poi, leggendo, ti accorgi che no, non è così che va, non del tutto. Non c’è beffa da copione, non c’è burla secondo scaletta. Non si girano le dita fra le collane, loro due, “signorine perbene” che le perle, ai porci, quelle mai.

Dialogano e dileggiano così, torrenziali, senza schema, come non accorgendosene. Mentre chi sfoglia le spia vorace: quando ripensano a ciò che è stato, e più sarà, nient’affatto nostalgiche (Luciana: “non ho mai avuto il ragioniere o l’impiegato del catasto… sempre tanta gente disturbata”), quando rifanno qualche conto (Franca: “come vedete, l’immaginazione, segreto veleno del passato, non serve più”), quando ribaltano certe immagini trite (quella azzurrina di un principe meno che mai atteso, ad esempio, del ci tono resta traccia solo su “qualche camicia a righine di Bruno Vespa e forse qualche pullover di Paolo Crepet”).

Dialogano e un po’ folleggiano, Franca e Luciana, rivendicando antecedenza generazionale, la prima (“care fanciulle del Duemila, non crediate di avere scoperto la luna, la vostra liberalizzazione ha avuto una lunga incubazione”), e spogliandosi dei preconcetti di genere, l’altra (“ho ben altro da fare nella vita che star lì a girare il risotto”); ammettendo le proprie fragilità, fragilità tutte al femminile (Luciana: “perché poi, diciamo la verità, una si innamora dei difetti degli uomini, che all’inizio sembran quasi dei pregi. Col tempo però riacquistano la loro vera natura di difetto. Solo che poi è troppo tardi”) e sottoscrivendo le evidenze, le più umane e pragmatiche (Franca: “quel che è certo è che l’amore è un sentimento multiuso, in questo senso è necessario. Va bene per il sesso, per gli amici, per i bambini, per l’Arte nella sua globalità, per gli animali; per piccole e grandi cose”).

Dialogano e palleggiano, mica sempre pensandola uguale, e raccontandosi nel privato (il rapporto con gli uomini, l’essere madri, i figli in affido), poi toccando il pubblico (i matrimoni, le suocere, i modelli televisivi), e facendo autocritica senza fare auto goal, dritte ma caute, caute e inclementi, d’accordo sul senso profondo delle cose (Franca: “la semplificazione penalizza il ricordo”), dei momenti storici (Luciana: “questa specie di rivoluzione può anche essere foriera di cambiamenti positivi”), della vita in genere (Franca: “i sentimenti esistono ancora. Hanno altre direzioni. E’ cambiata la mappa, non la donna”).

Due voci diverse e perfettamente intonate, suggerisce il retro di copertina del libro, il loro, “L’educazione delle fanciulle”, edito da Einaudi. Al pubblico, orecchio teso, l’ascolto (e il giudizio) delle singole note.

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