Si è chiusa la maxi inchiesta della procura di Ferrara sull’ospedale di Cona. Tre anni di indagini, tre sostituti procuratori e migliaia di carte condensate in diciassette capi d’imputazione per tredici indagati. E tra questi ci sono nomi eccellenti nel panorama ferrarese.

Il 415 bis, recante ipotesi di reato a vario titolo per truffa aggravata, abuso d’ufficio, omissioni e falso ideologico, è stato notificato tra gli altri a Riccardo Baldi, l’ex direttore generale dell’azienda ospedaliero universitaria Sant’Anna, Fulvio Rossi, ingegnere capo del Comune di Ferrara, Giorgio Beccati, il responsabile unico del procedimento, Carlo Melchiorri, direttore dei lavori, e Ruben Saetti, presidente del cda di Progeste, la ditta concessionaria del mega appalto.

Un mega appalto che sulla carta doveva costare 137 milioni di euro, di cui 97 a carico dell’azienda ospedaliera e i restanti a carico del concessionario. Ai conteggi finali si sono aggiunti invece 25 milioni di euro. Questo a causa di cinque perizie di variante adottate in corso d’opera. E che, secondo la procura estense, non potevano e non dovevano essere adottate, perché l’appalto era “chiavi in mano”, non suscettibile cioè di modifiche rispetto al prezzo prestabilito originariamente.

Non solo. Gli inquirenti contestano in primo luogo la qualità del materiale adoperato. Un calcestruzzo diverso rispetto a quanto previsto dal capitolato. Con una concentrazione inferiore di cemento. Tecnicamente di tipo RCK25 anziché RCK30. Una differenza sufficiente a far sospettare la procura che i fornitori della Calcestruzzi S.p.A. abbiano voluto risparmiare in modo fraudolento circa 117mila euro (a tanto ammonterebbe la “cresta” sulle circa 1.300 tonnellate messe nelle mani del Consorzio Cona).

Quel calcestruzzo è finito nelle fondamenta dell’ospedale grazie, sempre secondo i pm ferraresi, a omissioni nei controlli e falsi nelle documentazioni. Ora l’ospedale si regge su materiale tale da garantire sì la resistenza della struttura (non c’è – in parole povere – pericolo di crollo), ma non la sua durabilità nel tempo, prevista in almeno 100 anni secondo la legge.

Viene esclusa così la temuta possibilità di un sequestro della struttura (che sarebbe stata l’ennesima beffa nella vicenda del nosocomio, ancora in attesa della consegna dopo 20 anni e dopo una spesa di almeno 300 milioni di euro), dal momento che la consulenza della procura non ha rilevato problemi di stabilità. Si teme però che negli anni le opere di manutenzione potrebbero essere più onerose del previsto.

Lasciando ai posteri l’arduo problema, torniamo alle questioni odierne e al resto degli indagati. Oltre a Baldi, Rossi, Melchiorri e Saetti, la busta verde è stata inviata anche a progettisti, contabili, responsabili di produzione e collaudatori. Tutti avrebbero avuto un ruolo più o meno rilevante o nel far passare il materiale contestato o nell’avvallare le perizie di variante.

Tra i collaudatori c’era anche chi sarebbe caduto in conflitto di interessi. Andrea Benedetti avrebbe assunto incarichi da Cmr, impresa esecutrice dei lavori, attraverso una società di cui è socio di minoranza. Di questa incompatibilità sarebbero stati a conoscenza Beccati, Melchiorri, Rossi e Pinelli. Per loro l’accusa è di omissione per non aver segnalato la situazione al direttore generale.

Ora la procura si concentrerà sull’altra inchiesta riguardante l’ospedale. Quella relativa al mancato trasloco e ai motivi del mancato placet della commissione sanitaria. Da via Mentessi fanno sapere che al momento il fascicolo è rubricato solamente come atti relativi e non ci sono indagati.

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