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Messa in piega e libertà

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Uscendo dalla metropolitana a Barbès, nel 18 esimo arrondissement di Parigi, incontri uomini che distribuiscono volantini pubblicitari di maghi e guaritori. Dice il bigliettino che “lo sciamano risolve problemi di salute e ha un’ottima reputazione”. Mille persone ti vengono incontro per offrirti sigarette di contrabbando o orologi rubati. Di fronte ci sono i punti vendita della catena Tati, un mondo intero a basso costo: puoi comprare un vestito da sposa a 20 euro e una montatura per gli occhiali a dieci, una tutina da bebè con una manciata di centesimi.

La Goutte d’Or è un quartiere povero, lontanissimo dall’iconografia della Ville Lumière da cartolina, ma se entri in un negozio a chiedere indicazioni ti trattano molto meglio che al Marais. A nessuno frega se il tuo francese non è perfetto e nemmeno quanto puoi spendere. In una piccola rue si avvicina un uomo di colore, tiene in mano una confezione di Chanel n. 5: costa venti euro. Poco ma forse troppo per gli immigrati che abitano qui: eppure qualcuno lo comprerà, cercando l’odore e il miraggio di un Occidente da copertina o magari solo un po’ di consolazione in una spruzzata di profumo.

La cura di sé non è solo un vezzo, non è un capriccio per fanciulle viziate e annoiate: è un sostegno per tutte le donne. Lo spiega con allegria una signora di lontane origini italiane. Si chiama Lucia Iraci, è una donna d’affari molto famosa nel mondo della moda: da vent’anni lavora come parrucchiera per i più grandi stilisti e le più prestigiose riviste. Nel 2000 ha aperto il suo salone nell’elegante Saint Germain des Prés: “Il mio motto è sempre stato far sentire ogni donna una star, chiunque fosse. Io ho sempre fatto la parrucchiera e mi sono resa conto che una donna che si prende cura di sé si sente subito più sicura. A un certo punto ho capito che mancava una dimensione alla mia vita”. Non tutte le donne possono spendere: Lucia ha cominciato, un lunedì al mese, ad aprire il suo salone a chi non aveva possibilità di pagare. Però non bastava. L’associazione “Josephine per la bellezza delle donne” è nata nel 2006 da una constatazione allarmante: l’80 per cento delle persone povere sono donne, per molte di loro è difficile trovare un lavoro e una casa, ma anche accudire i propri figli. “Sono donne che non hanno né soldi né tempo per prendersi cura di sé: così poco a poco perdono fiducia e si isolano, sia socialmente che professionalmente”.

Il Fatto Quotidiano, 8 gennaio 2012

L’8 marzo scorso è stato inaugurato il salone sociale Josephine, qui alla Goutte d’Or. Sulla vetrina ci sono parole come “autostima”, “aiuto”, “fiducia in sé”. Non è solo un salone di bellezza accessibile: le clienti sono aiutate nella ricerca del lavoro e in generale nel reinserimento sociale. Fino a oggi 500 persone hanno varcato la soglia del “centro estetico” dove hanno trovato molto più che una buona acconciatura. Ci sono assistenti sociali e consulenti che le preparano a sostenere un colloquio di lavoro, le consigliano, mettono a loro disposizione anche degli abiti per presentarsi al meglio. Il salone pratica tariffe simboliche: 3 euro per taglio e colore, 1 euro per tutto il resto (trucco, manicure, corsi di ginnastica).

Purtroppo non si sceglie dove si nasce: la civiltà è non condannare nessuno a essere inchiodato all’eventuale disagio di una condizione misera. L’integrazione passa prima di tutto per la testa delle persone: noi lo sappiamo bene perché abbiamo avuto al governo un partito razzista che ha fatto della discriminazione e della paura un programma politico. Però, come insegna questa storia francese, passa anche per una messa in piega.

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