“Ci sono 13 politici lombardi che hanno ricevuto i voti della ’ndrangheta, ha dichiarato il magistrato calabrese Nicola Gratteri. Molti di più sono quelli che hanno avuto incontri ravvicinati di un qualche tipo con i boss. Alcuni siedono nel Consiglio comunale di Milano, altri stanno in Regione, altri ancora sono distribuiti nelle assemblee elettive delle province, dei paesi e delle città lombarde. I loro nomi sono scritti nero su bianco nelle carte delle indagini di Ilda Boccassini sulle cosche al Nord.

Eppure nessuno ha fatto un passo indietro. Nessun partito ha detto ai suoi: cominciamo a far pulizia in casa nostra, cacciamo chi infanga le nostre idee e le nostre bandiere. Intendiamoci: alcune relazioni pericolose possono non avere rilevanza penale. Ma hanno, eccome, rilevanza politica. Se un consigliere, un assessore, ha avuto rapporti con boss mafiosi, magari documentati da foto o intercettazioni telefoniche, i casi sono due: o sapeva con chi aveva a che fare, e allora è bene che lasci la politica; o non si è neppure accorto con chi parlava, e allora è sciocco, dunque è bene che lasci la politica.

Nel Consiglio regionale della Lombardia siede, per esempio, Massimo Ponzoni, di Desio, ex assessore e recordman delle preferenze (11. 069 alle ultime elezioni regionali del marzo 2010). Ammettiamo che non abbia fatto nulla di penalmente rilevante. Ha però incontrato personaggi della criminalità organizzata, ha stretto rapporti, ha parlato con loro. Ha incontrato più volte, per esempio, Fortunato Stellittano, imprenditore calabrese con precedenti per associazione mafiosa, arrestato il 15 agosto 2008 per traffico illegale di rifiuti speciali e tossici. Prima di quel giorno, Stellittano era latitante, eppure vedeva regolarmente l’amico Massimo in un noto bar di Desio.

E i tabulati telefonici documentano molti contatti tra Stellittano e il cellulare di Ponzoni, allora assessore regionale all’Ambiente della giunta di Roberto Formigoni. Nella primavera 2008, così Stellitano parlava al telefono, a proposito di una cava che aveva riempito di veleni, ma era poi stata sequestrata: “Adesso la bonifica per quello che abbiamo buttato, da martedì iniziamo a farla noi… Martedì vado a trovare Massimo e mi faccio fare lo svincolo, che è l’assessore all’Ambiente ed è a posto. Poi se vogliono che bonifichiamo anche sotto, ancora meglio”. Non se ne farà nulla, perché per il boss scattano le manette.

In un’intercettazione del 24 gennaio 2009, a parlare è invece Saverio Moscato, considerato il capo della famiglia di ’ndrangheta di Desio. Dice a un suo collaboratore: “A questo punto, a Ponzoni dobbiamo dargli rilievo, lui è c… e culo con Formigoni e via dicendo, ci sono i soldi anche per Ponzoni, e pago. Quanto vuole? Il 10 per cento, to’… Io per Ponzoni l’ultima volta che è andato su ho speso 10 mila euro di matite omaggio per quando si vota Ponzoni”.

Un altro boss, Salvatore Strangio, della cosca Ietto-Strangio di San Luca, nella primavera del 2009 dà la scalata a una grande impresa di costruzioni del Nord, la Perego strade, che diventa braccio imprenditoriale della ’ndrangheta alla conquista di ricchi appalti pubblici. Per ottenerli, però, ci vogliono rapporti politici: ed ecco materializzarsi ancora Ponzoni che, scrive il gip, è “il personaggio giusto al quale rivolgersi”, “fa parte del capitale sociale dell’organizzazione”. Dopo tutto questo, come fa un partito a tenerlo ancora nelle sue file?

Il Fatto Quotidiano, 15 dicembre 2011

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