Alle porte del Motor Show, a Bologna, uno dei più famosi saloni automobilistici d’Europa, tre manifestazioni diverse hanno confluito in un unico corteo. Ai 50 manifestanti del No People mover, si sono aggregate questa volta anche le 300 biciclette della Critical mass Human Motor (una sorta di bike-pride) e i podisti della marcia internazionale “March to Athens” . Motivazioni diverse, unite dalla ferma intenzione però, di riappropriarsi di spazi pubblici, come le piazze, e fondi, nel caso dei contestatori della monorotaia.

Hanno bloccato il traffico di via Stalingrado per almeno 5 volte. Pochi minuti sulle strisce pedonali per le loro ragioni del No al People mover, la prossima grande opera cittadina voluta dalla giunta di Sergio Cofferati, difesa ormai solo dal Partito Democratico e appaltata alle Consorzio cooperative di costruzione (Ccc).

La protesta del comitato arriva dopo lo stop, la scorsa settimana, dell’istruttoria pubblica, per cui lo stesso gruppo anti-monorotaia aveva raccolto 3.700 firme tra i cittadini di Bologna. Lunedì il segretario comunale, Luca Uguccioni, aveva infatti bocciato, con un suo parere negativo, l’idea di tenere l’istruttoria. Per Uguccioni, questa si sarebbe dovuta infatti svolgere prima dell’approvazione dell’opera, che ormai è già in progettazione esecutiva e i cui lavori potrebbero partire già a gennaio. Così il comitato, che sperava con l’istruttoria anche di sospendere l’inizio dei cantieri, ora sembra deciso a passare alle vie di fatto e iniziare le proteste on the road, forte comunque delle sue 3.700 firme.

Il People mover, la navetta monorotaia che in 7 minuti dovrebbe unire la stazione di Bologna con lo scalo aeroportuale, è da tempo al centro delle polemiche sia per la sua presunta inutilità (diverse linee ferroviarie passano accanto all’aeroporto e si potrebbero utilizzare per lo stesso tipo di trasporto). Soprattutto il People mover, che doveva essere costruito e gestito dai privati in project financing, rischia in realtà di essere gestito dalla sola Atc, la compagnia di trasporto, che se ne accollerebbe i rischi. Da qui derivano le indagini della nmagistratura, contabile e ordinaria e le proteste del comitato. Inoltre, il fatto che ancora non arrivino nuovi soci per la gestione futura, fa pensare che l’opera, che comunque costerà almeno 30 milioni di soldi pubblici) non sia molto appetibile per un privato.

Parte invece a suon di samba, tamburi di latta e il trillare di campanelli, il percorso che dalla Fiera porterà i ragazzi muniti di due ruote fino a Piazza Maggiore. Questa infatti, la tappa intermedia degli “indignati” appartenenti alla March to Athens. Se la sono fatta a piedi, i ragazzi della marcia internazionale, ideata nell’ultima agorà a Bruxelles durante la giornata di mobilitazione mondiale del 15 ottobre: partiti da Nizza il 9 novembre (luogo in cui si è tenuto il G20), stanno attraversando lo stivale, tra autostrade e viottoli di campagna, per rilanciare un modello di democrazia diretta nato nelle piazze iberiche a seguito della primavera araba.

E si fermeranno solo una volta giunti a destinazione: Atene. Data di arrivo prevista: 15 aprile. Nel frattempo, partiranno le “accampate” nelle principali piazze d’Italia, tra cui Bologna e Roma. Il fine: riappropiarsi degli spazi pubblici in cui istituire assemblee di democrazia partecipata sulla base della grande occupazione della madrileña Puerta del Sol. Muniti di tende, biciclette e carrelli carichi solo dell’essenziale, prevedono di rimanere un paio di giorni anche in Piazza Maggiore, da dove partirà l’invito a un’assemblea pubblica prevista per domani alle 15, perché “Bologna è uno dei centri politicamente più importanti – spiega Massimiliano, uno degli organizzatori. Questa forma di assemblea pacifica è determinante per trovare una metodologia differente con cui affrontare il conflitto sociale”, cioè la democrazia diretta.

Concretamente? “È un fenomeno composto da una molteplicità di flussi – spiegano – diversi, ma convergenti, caratterizzato dalla partecipazione attiva e dall’orizzontalità”. Con i loro zaini e maglioni colorati, bastoni da cammino, vogliono riprendersi la politica, percorrendo nella maniera più diretta possibile, a piedi, il mondo per incontrarsi, scambiarsi opinioni e unire le lotte: “siamo un movimento orizzontale e acefalo, che vuole unire il locale a un movimento più ampio che sostituisca la democrazia diretta e partecipata a elezioni che non ci rappresentano”, chiarisce Niki un’attivista greca.

Come decidere concretamente, quando a un’assemblea partecipano migliaia di persone, se non si vota? “Il tempo della democrazia diretta non è il tempo del capitalismo – convengono – ma è l’unico modo per evitare le ideologie dei partiti e trovare il consenso in un’organizzazione comune e mettere in campo tutte le alternative possibili a questa società”, spiega Niki. Fra loro, c’è chi ha lasciato il lavoro o lo studio per intraprendere il cammino, durante il quale il sostentamento è arrivato dalle persone incontrate: “mangiamo i prodotti che mercati e negozianti buttano ma che sono ancora buonissimi, e non sono rare le donazioni. Purtroppo, alla simpatia e alla comprensione riscosse, non si è quasi mai unita la vera partecipazione”, ammette Blanche, una manifestante francese. “Abitavo a Nizza, ma ora abito nelle piazze pubbliche”.

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