Fateci caso. Ogni volta che si parla di cervelli in fuga, di italiani che fanno rapidamente carriera nelle Università londinesi, ecco che spunta, immancabile, il commento del “realista-nazionalista” di turno. Solitamente il personaggio del “realista-nazionalista” mira a demolire il fenomeno dei cervelli in fuga. Insomma, sono tutte fregnacce e le motivazioni sono queste:

La fuga di cervelli non esiste: si chiama “libera circolazione dei ricercatori” ed è parte del loro processo formativo.
– Se li assumono all’estero significa che l’Università italiana li ha formati bene. Viva l’Università italiana.
– Londra è troppo costosa, lo stipendio se ne va tutto in affitto e trasporti pubblici, quindi tanto vale restarsene in Italia.
Scappare è da codardi. Abbiamo bisogno che i nostri migliori talenti restino in Italia per contribuire al cambiamento.

Insomma, un inno al realismo, all’orgoglio di essere italiani, uno spronare i giovani all’impegno sociale e politico. Quali nobili principi! Devo ammettere che l’amico realista-nazionalista mi ha convinto. Ho deciso: mi licenzio e torno in Italia.

ll mio Head of Department mi ha consigliato di mettere per iscritto i pro e i contro, una sorta di lista delle cose che ho avuto e ho tutt’ora qui a Londra, e di quelle che troverò in Italia. “Avere quella lista avanti agli occhi – mi ha detto – ti aiuterà a scegliere”. Ci è voluto un po’, ma alla fine credo di averci messo tutto. Tra i tanti punti della lista ne ho scelti tre, che mi paiono i più significativi.

1. Londra: l’annuncio del posto di ricercatore alla University College London era stato pubblicato sulle maggiori riviste internazionali del settore. Il concetto è: più ricercatori partecipano, più probabile che si trovi uno bravo. Magari il più bravo.
Italia: quando si bandisce un concorso, si fa in modo che partecipi solo “chi deve vincere”. Gli altri vengono “gentilmente invitati” a ritirarsi.

2. Londra: fui selezionato unicamente sulla base del mio Cv, le mie pubblicazioni e la famosa interview. Lo stesso dicasi per la promozione da ricercatore a professore associato. Età? 34 anni.
Italia: i concorsi universitari sono tradizionalmente pilotati, il trucco è la selezione di commissari compiacenti. La priorità è sistemare i figli, che sono piezz ‘e core, poi mogli e amanti, fedelissimi e protetti. I meriti scientifici o didattici sono un accessorio.

3. Londra: il sistema è tradizionalista, ma è costruito in modo tale da essere flessibile e supportare al proprio interno cambiamenti, anche rivoluzionari, spesso introdotti da giovani 30enni o 40enni. Il primo ministro inglese ha 45 anni e molti professori universitari ne hanno meno di 40.
Italia: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. L’età media dei politici e professori universitari si avvicina ai 60. Il primo ministro italiano ne ha 75, non usa Internet e chiama Google “Gogol”.

Amico realista-nazionalista, sai che c’è? Io me ne resto a Londra.

di Stefano Fedele, ricercatore allo University College of London

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