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Il linguista Sacconi

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Il ministro Sacconi ha parlato espressamente di un clima di violenza che, a suo dire, decollerebbe dalla “violenza verbale” e che potrebbe avere tristi conseguenze. Beh, diciamolo: per una volta ha proprio ragione. Però avrebbe dovuto essere più dettagliato, l’ottimo Sacconi, perché dalle sue parole non si capisce bene a chi intendesse riferirsi; chi siano cioè i soggetti di quelle violenze verbali che, Dio non voglia, potrebbero portare ad una nuova stagione terroristica. Tentiamo qui, umilmente, di azzardare alcune ipotesi.

1) Forse Sacconi pensa al ministro per il federalismo Bossi Umberto. Il quale, era il 2008, ebbe ad ammonire le istituzioni e l’Italia tutta che, qualora non si fosse accelerato il processo federalista, non avrebbe avuto problemi a trovare “trecentomila uomini, trecentomila martiri pronti a battersi. I fucili sono caldi” per opporsi all’aggressione statalista. Ora è pur vero che il Bossi è un cultore delle diverse sfaccettature della lingua, ma sul significato univoco dei termini “martiri” e “fucili” direi che non si può discutere molto. Forse Sacconi si riferiva a lui.

2) Oppure l’illuminato ministro per il Welfare si riferiva ad un nobile compagno di partito del Bossi, quel Borghezio che pochi mesi addietro ebbe a esprimere tutta la sua solidarietà a un pacifista vero che con le armi proprio non aveva contatti, ovvero quel Ratko Mladic responsabile del massacro di Srebrenica finalmente finito col sole a scacchi dopo anni di latitanza. “Mladic è un patriota” ebbe e adire Borghezio: di uno che, come ben documentato su La 7 da Antonello Piroso nella sua orazione su Srebrenica, dichiarava ai civili: “Non vi succederà niente”, mentre li avviava verso i carnefici. Essendo che sul termine “Mladic” c’è poco da discutere forse Sacconi si riferiva a lui.

3) O forse l’ex socialista libertario Sacconi si riferiva a tal Berlusconi Silvio che, intercettato durante una delle sue amabili chiacchierate con Lavitola, riscoprì la sua natura leninista ed ebbe a dire: “Io lascio oppure facciamo la rivoluzione, ma la rivoluzione vera… Portiamo in piazza milioni di persone, cacciamo fuori il palazzo di giustizia di Milano, assediamo Repubblica… Non c’è un’alternativa”. Ora, dato che sul termine “rivoluzione vera” accompagnato da una figura onirica in cui lui, Bondi, Lavitola e Tarantini entrano al Palazzo di Giustizia e trascinano fuori i giudici magari mettendo loro in testa, maoisticamente, un cappello d’asino, c’è poco da equivocare; ecco, forse Sacconi si riferiva a lui.

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