É da tempo che non mi interesso più di calcio, ma una cosa che mi colpiva particolarmente dell’ambiente era la fretta con la quale, sin dalle prime deludenti prestazioni della squadra, veniva richiesto l’esonero dell’allenatore.

Era questa una semplificazione che, al di là dell’implicita deresponsabilizzazione di giocatori e dirigenti, spesso provocava stranamente una benefica scossa nell’ambiente, tanto da risultare talvolta risolutiva sotto il profilo dei risultati.

Lo scorso campionato, Ranieri, tecnico della Roma, presentò le proprie dimissioni per una partita malamente persa in casa del Genoa (dal 3-0 al 3-4), rinunciando al proprio ingaggio e mostrando quanto la dignità di assumersi le proprie responsabilità non sia sconosciuta anche nel tanto vituperato mondo del pallone. Certo, sono di gran lunga più frequenti gli esoneri, ma la costante dell’ambiente è che comunque, a fronte alla mancanza di risultati, ci sia sempre qualcuno al quale possa essere imputata la mala gestione per poterne chiedere il conto.

In altri ambienti, il ragionamento non pare lo stesso.

Così, se un’azienda in salute sei anni fa, come la Rai, arriva a prospettare di bloccare stipendi e tredicesima ai dipendenti e a svendere le frequenze, come scrive Carlo Tecce sul Fatto, il direttore generale, la signora Lei, rimane, senza nessuna remora e diversamente dal calcio, al suo posto.

Esattamente come i dirigenti responsabili delle forze dell’ordine (e quando scrivo di responsabili, pongo il ministro Maroni in cima alla lista) che, nonostante l’allarme lanciato dagli agenti in prima linea, non hanno fatto alcunché per arginare i violenti che si sono infiltrati impunemente nel corteo romano degli indignados, così venendo meno, non sappiamo se per miopia o calcolo come dice qualcuno, al compito primario di garantire l’ordine pubblico.

Per arrivare infine a un governo che, dal suo imbarazzante presidente fino ai ministri che lui ha voluto, si è reso responsabile di una situazione senza precedenti nella storia repubblicana, cercando prima di negare, poi minimizzare e infine imputare ad altri l’incompetenza e inadeguatezza al loro ruolo. Tutto hanno provato questi governanti, tranne la dignità di riconoscere il loro fallimento.

Nel calcio, Berlusconi dovrebbe saperlo, questo non sarebbe stato tollerato.

Quando ho incrociato casualmente Cicchitto, davanti a Montecitorio, un paio di mesi fa, ho deciso di sottoporgli proprio la metafora calcistica: se l’allenatore di una squadra di calcio viene esonerato per i risultati deludenti, perché questo governo, fallimentare su tutti i fronti, non dovrebbe fare altrettanto?

La risposta non è arrivata. Abbiamo percorso tutta la piazza, a passi lunghi e veloci. Una fuga. Cicchitto non ha pronunciato parola, finché, a due passi dal portone, si è lasciato andare a un “Lei non è un cittadino”.

Nessuna decenza, nessun pudore, nessuna vergogna. Tanto meno dimissioni. Soltanto, come sempre, l’arroganza del potere.

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