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L’Asl obbligata dai giudici a curare l’ucraina senza permesso di soggiorno

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L’Asl sarà obbligata a prestare le cure alla donna malata di cancro. Lo ha deciso il tribunale di Bologna, accogliendo il ricorso d’urgenza presentato dagli avvocati Sara Bruno e Antonietta Cozza. È una svolta nel caso di Galyna Bugera, la donna ucraina di 63 anni operata di tumore che fino ad oggi non ha potuto accedere al ciclo di chemioterapia necessario per salvarle la vita (leggi l’articolo riportato dal Fatto Quotidiano.it pubblicato a inizio ottobre).

Galyna Bugera, disoccupata e ospitata in una casa di accoglienza di Bologna, non può sostenere i costi del ciclo salva-vita che le ha prescritto il medico. E l’Asl non può fornirle le cure necessarie per via del tipo di permesso di soggiorno richiesto.

Nel nostro paese era entrata regolarmente un anno fa con un normale visto turistico. Qui le viene scoperto, dopo un controllo per un dolore che avvertiva a livello della mandibola, un carcinoma. Nell’ospedale Sant’Orsola viene operata. A questo punto le viene concesso un permesso di soggiorno per motivi di salute.

Per continuare l’assistenza sanitaria doveva sborsare una cauzione che ovviamente non possedeva. Ora l’Asl le dovrà somministrare il ciclo di chemioterapia. Questo grazie alla caparbietà di altre due donne, le avvocate della 63enne. Il loro ricorso è stato accolto dall’ordinanza del tribunale che sancisce “il diritto di ogni straniero, anche se presente irregolarmente sul territorio italiano, di fruire di tutte le prestazioni sanitarie indifferibili ed urgenti”.

“È una grandissima soddisfazione – commenta Sara Bruno -, inquinata solo in parte dalla constatazione che per far valere un diritto imprescindibile della persona si sia dovuto adire alle vie legali. Sarebbe bastato un po’ più di buon senso per evitare questa perdita gravissima di tempo”.

Si tratta di un provvedimento d’urgenza, in attesa dell’udienza che si svolgerà a novembre. In sede civile si discuterà se sussiste o meno l’obbligo di prestazione delle cure. Nel frattempo rimane congelata la raccolta fondi partita per pagare le cure (del costo di 4.000 euro). “Se il giudice darà ragione alla controparte – spiegano i legali – allora i soldi fin qui raccolti verranno impiegati per continuare le cure. In caso contrario, non essendoci più necessità di far fronte alle spese sanitarie, il denaro verrà devoluta all’Ant”.

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