Era il 4 novembre 2009 quando il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, smentendo le dichiarazioni rese sino a poche ore prima dai Ministri Romani e Brunetta, dichiarava: “I soldi per la banda larga li daremo quando usciremo dalla crisi”.

L’annuncio a sorpresa dell’eminenza grigia di Palazzo Chigi rappresentava l’epilogo – il peggiore possibile – di una brutta storia di ipocrisia di Stato nell’ambito della quale il Governo aveva continuato a raccontare agli italiani colossali bugie facendo apparire come imminente e ormai deciso uno stanziamento di 800 milioni per lo sviluppo dell’infrastruttura di banda larga.

“I fondi stanno lì, non sono stati spesi né sciupati: una volta usciti dalla crisi, si potrà riprendere l’ordine della priorità, e la prima sarà la banda larga”, aveva detto Gianni Letta. Sono passati esattamente due anni e, nei giorni scorsi, la storia si è ripetuta secondo un copione scritto da uno sceneggiatore privo di fantasia.

Il ministro Romani ha passato settimane ad annunciare al Paese che il 50% dei maggiori incassi realizzati dallo Stato attraverso la vendita delle frequenze – guarda caso proprio i soliti 800 milioni di euro – sarebbero stati destinati alla banda larga e poi, nei giorni scorsi, il Governo ha annunciato di aver cambiato idea e di aver deciso di destinare quelle risorse ad altre esigenze ritenute prioritarie.

Ancora una volta, nonostante tante parole e promesse, la posizione del Governo è rimasta la stessa di due anni fa: la banda larga, sebbene l’Italia sia il fanalino di coda in Europa, può attendere, almeno sino a quando saremo usciti dalla crisi.

Aver rinviato per due anni gli investimenti pubblici per lo sviluppo della banda larga in attesa che il Paese – non è chiaro come – uscisse dalla crisi e, oggi, decidere di posticipare ancora questi investimenti è una scelta grave ed irresponsabile assunta da un Governo evidentemente miope o, peggio ancora, ipocrita e prigioniero del conflitto di interessi del suo premier, Sua Emittenza televisiva Silvio Berlusconi che, per ovvie ragioni, non ama la Rete sia perché concorrente – sul piano commerciale – delle sue Tv e sia perché capace di “spuntare” le antenne del Cavaliere come strumento di controllo ed orientamento politico delle masse.

Non esiste un’altra giustificazione per una scelta tanto anacronistica.

E’ pacifico – e lo ha ricordato di recente la Banca mondiale – che esiste una relazione diretta tra l’aumento della penetrazione della banda larga e la crescita economica, misurata in termini di aumento del Pil.

Che senso ha, quindi decidere di rinviare gli investimenti in banda larga a quando il Paese sarà uscito dalla crisi? Bisognerebbe, al contrario – ma è difficile credere che al Governo sfugga la macroscopica contraddittorietà della propria scelta – investire in banda larga per uscire dalla crisi.

Non è un caso, d’altra parte, che proprio mentre il Governo italiano annunciava l’ennesimo ripensamento sull’idea di destinare 800 milioni di euro allo sviluppo dell’infrastruttura per la banda larga, l’Unione Europea confermava la propria decisione di destinare oltre 9 miliardi di euro per lo sviluppo di infrastrutture per Internet superveloce.

Non c’è dubbio che qualcuno si sbagli: o la Banca mondiale, l’Unione Europea e le centinaia di altri Governi in tutto il mondo che stanno investendo e scommettendo nello sviluppo delle infrastrutture di connettività come strumento di rilancio economico e crescita democratica; o il nostro Governo che, solo, continua a pensare che Internet non sia una priorità perché tanto c’è la televisione, il “super-media”, come è stato di recente definito in uno studio commissionato, guarda caso, da Mediaset, alias Berlusconi, alias il premier del nostro originale, piccolo Paese analogico.

La banda larga può attendere, parola del Signore della Tv.

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