Non era mai accaduto da quando sono stati introdotti i tre punti per la vittoria. Cinque zero a zero nella stessa giornata di campionato, che diventano undici se si prendono come riferimento le gare fin qui disputate (60, il 18%). Una partita su due si chiude senza reti, aumentano gli sbadigli, sul divano e allo stadio. D’accordo, verissimo, rispetto ai problemi dell’Italia che sbuffa e scalcia, si tratta di fughe pindariche nello spazio infinito, epperò per chi segue il calcio è ragione di interesse. Perché il gol, chiedetelo ai pallonari, fa bene all’entusiasmo, stimola la produzione di adrenalina, è praticamente necessario. E se si torna alla tradizione del pareggio a reti bianche, che piace ai tecnici perché la difesa ha retto bene e un punto fa sempre comodo, è un guaio mica da ridere.

In Europa le cose vanno diversamente. Si segna molto di più e i pareggi a reti bianche sono molti meno. La media gol del torneo italiano è ferma a quota 2,3. Non male, evidentemente, almeno sulla carta, perché significa che ogni incontro dovrebbe proporre almeno un paio di reti. E invece, accade che ci siano partite che finiscono col pallottoliere e altre che rimangono al palo, bloccate sullo 0 a 0. Il 4 a 3 di Palermo–Inter e il 3 a 3 di Novara–Catania, di diverse settimane fa, dimostrano che il gol piace ancora e, soprattutto, si sa ancora fare. Tuttavia, altrove le cose vanno meglio.

In Inghilterra, ad esempio, dove la media gol in Premier League è 2,8, i pareggi a reti bianche sono stati 8 in 79 gare, il 10%, dunque una gara su dieci. Discorso simile per la Bundesliga. Anche qui, meglio, là, media gol pari a 2,8. Ma la grande differenza è che in Germania lo 0 a 0 proprio non lo vogliono. Due incontri su 90, una miseria, lo 0,02%. E in Spagna? La Liga presenta una media reti pari a 2,6, ma mette a referto 10 gare a reti bianche, lo 0,14%. Dunque, meglio di quanto accade in Italia, ma di poco. Anche se diverse sono le condizioni di partenza.

Perché in Spagna le prime sette squadre in classifica hanno messo da parte la bellezza di 99 gol, il 20% in più delle altre 13 formazioni che seguono. Barcellona e Real Madrid da record, 26 gol realizzati da Messi e compagni, 24 dalla truppa guidata da Mourinho. In Serie A, invece, nessuna prima donna. Juventus e Udinese, che sono prime a pari punti (12 punti, altro primato negativo per chi guida il carrozzone), hanno segnato meno del Novara, che è sedicesima a 7 lunghezze da chi comanda. Qualcuno dirà che è il bello del calcio italiano, un torneo equilibrato rende più frizzante la stagione. Altro che Spagna e Inghilterra, dove a vincere sono sempre le stesse squadre.

Ma se si segna poco o meno del previsto, la colpa di chi è? Probabilmente, dell’approssimativo stato di forma degli attaccanti fenomeno che sono in forza alle squadre più blasonate. Basta dare un’occhiata alla classifica cannonieri, per capire che qualcosa non torna. In casa Juve, Del Piero è ancora a 0, Vucinic e Matri ne hanno messo dentro uno soltanto. A Milano, sponda rossonera, infortuni a parte (che sono stati tanti), Cassano ne ha segnati due in sei presenze, Ibra e Robinho sono appena tornati, Pato è ancora out. All’Inter, bene per Milito (3 gol), molto meno per gli altri, vedi Forlan, Pazzini e Zarate.

E’ anche vero, però, che un punto fa sempre comodo, soprattutto se l’obiettivo è evitare la retrocessione. E allora, ecco che alcuni tecnici delle squadre più modeste attivano la modalità ridotta, che si traduce nell’assunto “primo, non prenderle”. Difese corazzatissime e centrocampo grandi muscoli, palla avanti e pedalare. Come ai vecchi tempi, quando il pareggio valeva un punto e faceva gola a tanti. Finché dura e porta risultati, perché cambiare? In Serie A, complice la frenesia di alcuni presidenti, gli errori sono tollerati pochissimo e i primi a pagare sono sempre gli allenatori. E allora, meglio così che a casa.

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