Ne è passato di tempo da quel 17 aprile 2007, quando alla Camera con 447 voti favorevoli, 7 astenuti e nessun voto contrario, fu approvato il ddl Mastella sulle intercettazioni, un bavaglio totale e tombale sul diritto di cronaca,  salutato dall’indimenticabile ministro come “un grande, esaltante momento della nostra attività parlamentare”.

Forse perché, come dice un proverbio particolarmente saggio, “il vento fa il suo giro e tutto torna”, ecco che ci ritroviamo in questo autunno assolato del 2011 a dover fronteggiare in un contesto da paura, lo spettro molto concreto della materializzazione, con qualche aggiornamento e “correttivo” di quel colpo di mano bipartisan. Il grande parto legislativo dell’allora ministro della Giustizia, che affossò il già pencolante governo Prodi, prima dimenticato e di lì a poco “superato” dal ddl Alfano, a sua volta finito per un lungo periodo su un binario morto, ora è stato “riscoperto”  ed integrato nella “riforma” delle intercettazioni che Berlusconi sta imponendo in tempi strettissimi, dettati dal suo stato di necessità.

Le modalità di percorso di un provvedimento coatto, per il quale, come altamente prevedibile, sono state respinte le pregiudiziali di incostituzionalità, sono state adeguatamente sintetizzate dalla presidente della commissione Giustizia alla Camera Giulia Bongiorno, che ha motivato la sua decisione di dimettersi da relatrice per “questo schioccare di dita” che ha impedito l’accordo, a suo parere accettabile, “che era stato raggiunto dopo decine di incontri con Ghedini e gli editori”.

Accordo che, al di là della sua “bontà”, oggi va troppo stretto a Berlusconi e dunque è stato esteso: impubblicabilità assoluta fino alla cosiddetta udienza-filtro, ed impossibilità totale di pubblicare anche nel solo contenuto, prima di quella data, le intercettazioni incluse in provvedimenti già notificati alle parti, e dunque non coperti da segreto, come le ordinanze di custodia cautelare.

Sul fronte delle sanzioni, con un tempistico emendamento al testo uscito dalla commissione, è scaturita l’incredibile previsione di una pena da 6 mesi a 3 anni non solo per la pubblicazione di intercettazioni espunte o destinate alla distruzione, ma anche per quelle ritenute irrilevanti.

Le analogie con il capolavoro di Mastella che aveva messo d’accordo praticamente l’intero arco costituzionale non hanno bisogno di sottolineature: la sua legge prevedeva il divieto di pubblicazione delle intercettazione fino alla conclusione delle indagini preliminari; e in caso di dibattimento, cioè di rinvio a giudizio, il divieto si sarebbe protratto fino alla sentenza di appello.

Sotto il profilo delle pene detentive, la legge Mastella era, se così si può dire, più articolata: reclusione da 6 mesi a 3 anni per chi rivelasse notizie su atti coperti da segreto istruttorio; un’ammenda da 10 a 100mila euro, o in alternativa 30 giorni di carcere, per i giornalisti che le pubblicassero.

In merito alle intercettazioni, mi sembra che si possano riportare le parole che Armando Spataro ha riservato nel suo libro Ne valeva la pena, all’atteggiamento dei governi in carica a proposito del segreto di stato: “Non sembrava possibile, invece, che il governo Berlusconi degli anni 2001-2006, quello Prodi degli anni 2006-2008 e, ancora, quello Berlusconi che guida il paese dal maggio del 2008 potessero tenere, rispetto ai risvolti giudiziari del caso Abu Omar, esattamente gli stessi comportamenti. Con una differenza, però: coerenti, rispetto a programmi politici e dichiarazioni ufficiali, quelli dei governi Berlusconi; incoerenti e contraddittori quelli del governo Prodi e della maggiornaza che lo ha sorretto”.

Allora massima adesione e mobilitazione da subito al referendum che Giulietti con Art.21 ha lanciato in vista dell’approvazione del bavaglio ritoccato in peggio, ma non dimentichiamo mai la paternità perfettamente bipartisan, per non ritrovarci sempre allo stesso punto con o senza Berlusconi.

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