“Quella di Marzabotto fu una strage nazifascista. Non c’è da far polemiche. La Repubblica fascista di Salò (Rsi) era alleata della Germania nazista. E se nell’eccidio di Marzabotto non vi fu una collaborazione diretta dei fascisti, vi fu in molti altri eccidi della zona di quei mesi”. A parlare è Marco De Paolis, procuratore militare della Repubblica che ha sostenuto la pubblica accusa nel processo per l’eccidio di Marzabotto, la cittadina dell’appennino bolognese dove tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 i soldati e le SS tedesche guidati da Walter Reder uccisero oltre 700 civili inermi.

Sulla definizione di nazifascista potrebbe non essere d’accordo però il nostro presidente del Senato, Renato Schifani, che oggi nel suo messaggio di saluto inviato per lettera alla cittadina emiliana ha parlato di “violenza nazista”, omettendo la parola “fascista”. Una piccolezza, forse una svista, che però da queste parti, dove la Resistenza al nazifascismo è segnata sulla pelle di molti, conta e fa discutere. Se non altro perché invece il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che del post-fascismo è stato per anni una bandiera, nel suo saluto di oggi inviato a Marzabotto ha parlato invece di “follia nazifascista”. Un paradosso.

Valentina Cuppi che a Marzabotto è consigliera comunale “per la Pace” e animatrice di questa 67esima commemorazione – è tutt’altro che pacifica. Per lei, forse quella della seconda carica della Repubblica è una imprecisione, ma è meglio farla notare: “È ora che ci rendiamo conto che anche gli italiani e il fascismo hanno le loro colpe”, spiega la giovane consigliera. “Tutti sanno che qui a Marzabotto c’erano italiani che collaboravano attivamente coi tedeschi”.

Proprio perché non passi l’idea degli italiani brava gente, a Marzabotto, oltre alle migliaia di persone che si sono strette intorno agli ormai pochi superstiti c’era anche Stathis Psomiadis. Psomiadis è un professore di matematica greco ed è qui perchè suo nonno morì nella strage di Domenikon. Il 17 febbraio 1943, un anno e mezzo prima di Marzabotto, l’esercito italiano, ancora sotto il comando di Benito Mussolini, fucilò 150 civili maschi che avevano tra i 14 e gli 80 anni. Una pagina di storia per cui l’Italia ha chiesto scusa solo nel 2009.

Insomma gli italiani, e tanto meno i fascisti, erano tutt’altro che “i buoni”, categoria che in guerra è difficile da trovare. Lo sanno bene i pochi superstiti ancora in vita dell’eccidio di Marzabotto. “Quella mattina del 29 settembre 1944 c’era brutto tempo, non era caldo come oggi. Le strade erano bagnate, e ricordo che portavo un paio di scarpe due numeri più grandi”. Fernando Piretti aveva 9 anni allora ed è l’unico superstite ancora in vita del massacro di Cerpiano, uno dei tanti omicidi di massa che in cinque giorni misero a ferro e fuoco Marzabotto e le sue frazioni.

A Cerpiano furono uccise 44 persone. Si salvarono solo in tre. Fernando fu salvato dal corpo di sua mamma che gli fece da scudo e morì. “Appena i tedeschi arrivarono ci radunarono nell’oratorio e ci avvisarono che in cinque minuti saremmo stati tutti kaputt. Piazzarono la mitragliatrice all’ingresso, poi li vidi fuori dall’edificio che rompevano qualcosa e lo buttavano dentro. Erano bombe”. Fernando si fa scuro in volto. Quando racconta questa storia spesso i più giovani non ne vogliono sentir parlare. Ora teme che la memoria si perda: “Rimasi un giorno nascosto tra i cadaveri. Quando uscì ci camminavo sopra: alcuni, quelli più vicini alle bombe, erano tagliati a metà”.

Alla commemorazione c’era anche il sindaco di Genova, Marta Vincenzi. Nonostante da un po’ di tempo per protesta contro i tagli del governo ai Comuni non indossi più la fascia tricolore (l’ultima volta ieri la protesta l’ha fatta davanti al ministro Altero Matteoli), a Marzabotto l’ha indossata di nuovo e ha tenuto un discorso infuocato. Principale bersaglio, la Lega nord, con un riferimento esplicito all’attacco di venerdì da parte del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: “La Padania non esiste, è paccottiglia culturale e politica Non esistono etnie più pure delle altre, non esistono padroni della propria terra al punto da rifiutarne l’ingresso ad altri”.

Alla fine della commemorazione si avvicina ancora con un familiare delle vittime. A proposito del coinvolgimento dei fascisti porta con sé un articolo di giornale. É una pagina del quotidiano bolognese Il Resto del Carlino, nel 1944 in mano ai fascisti. Il giornale, l’11 ottobre, negò senza pudore le voci sulla strage: “Alla smentita ufficiale si aggiunge la constatazione compiuta durante un apposito sopralluogo. È vero che nella zona di Marzabotto è stata eseguita una operazione di polizia contro un nucleo di ribelli, il quale ha subito forti perdite anche nelle persone di pericolosi capibanda, ma fortunatamente non è affatto vero che il rastrellamento abbia prodotto la decimazione e il sacrificio di ben centocinquanta elementi civili”. Già non centocinquanta, ma più di settecento.

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