Sono nata a Londra il 10 maggio 2011 sotto il segno del Toro ascendente Cancro, umore instabile e variabile, mutevole come il tempo londinese. Sono un’emigrata privilegiata, sono atterrata a Londra lavoromunita.

Usi e costumi made in Uk.
Ho trovato lavoro grazie ad una segnalazione. Non si è trattato dell’italico uso del “figlio/nipote di”, ma di una pratica comune in molti uffici londinesi. Sto parlando del refer a friend, “raccomanda un amico”. Funziona così: un semplice impiegato sottopone all’azienda il cv di qualcuno le cui caratteristiche rispondano all’offerta del momento. Se il processo di reclutamento va a buon fine, il raccomandato avrà un lavoro e il referente un bonus produzione. Chiaramente ho fatto due colloqui e ho superato tre mesi di prova. Ma sono stata ufficialmente raccomandata!

Felicità vs open space. Lavoro in un open space che si popola alle nove del mattino. Il bon ton da ufficio prevede che non ci si saluti mai, a meno che l’incontro con le altre forme di vita impiegatizia non avvengano in cucina, in corridoio o a causa di scontri fortuiti. Nell’open space si condivide solo l’aria che si respira, per il resto ognuno sta solo nel suo metro quadro. Ci si isola dietro grosse cuffie, si mangia davanti al pc, ci si spruzza il deodorante a intervalli regolari, si mangia salmone affumicato alle 10 del mattino. Fa parte di quella legge non scritta per cui, in particolare gli inglesi, riescono a proteggere lo spazio privato in mezzo ad una folla di gente.

Felicità non fa rima con tempestività. Nel mio ufficio funziona così: per quanto sia un posto di presunta creatività, – siamo per lo più web designer – si è sottoposti a una organizzazione da ministero. Qualsiasi richiesta, dalla più semplice (“scusa dove sono i file sorgenti?”) alla più complessa (“un file è scomparso durante la pubblicazione”), conta almeno tre passaggi di email, per giungere alla conclusione che: devi aspettare, perché la persona che ti deve aiutare è inevitabilmente busy.

Felicità: easy & busy. Dopo otto anni da precaria italiana, la mole di lavoro da smaltire nella mia azienda londinese mi sembra decisamente inferiore a qualsiasi altra esperienza. Questione di percezione? I miei colleghi sono sempre stanchi e busy, anche se palesemente intenti a fissare lo schermo del pc.  Dopo un po’ di mesi ho capito che si tratta di una prassi aziendale. Bisogna sempre dire che si è busy e che “ahimè, è solo lunedì”. E in barba allo stakanovismo, non appena sono le 18.00, c’è la fuga generale!

Felicità? Non essere licenziati. Pochi mesi dopo il mio arrivo, l’azienda si è fusa con un competitor. Il che ha dato inizio a una lunga serie di riunioni-entertainment. Tra un muffin e un tè, abbiamo scoperto gli innumerevoli benefici della fusione. L’epilogo è stato il licenziamento dei quadri manageriali e il taglio di un intero dipartimento. Mesi di attese e convocazioni, senza particolari esternazioni di emozioni, se non da parte dei lavoratori/lavoratrici non nativi inglesi, che hanno rotto il tabù, parlando delle preoccupazioni dell’imminente licenziamento. Niente sindacato. Contrattazione lasciata al buon senso delle persone che si sono unite e hanno fatto fronte comune. Un contratto a tempo indeterminato non è per sempre. La vita lavorativa resta sempre un po’ in bilico con quel pizzico di malessere dato dalla precarietà. Ma su questo punto io, modestamente, sono già preparata.

di Daniela Miele, impiegata a Londra

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