Tutti gli statisti fanno un passo indietro. Lo fece anche Benito Mussolini. “Nel 1943 perfino il Gran Consiglio del Fascismo sfiduciò il Duce e rimise il mandato nelle mani del Re. Ma anche Blair, Zapatero. Solo Berlusconi sta attaccato al potere come una cozza allo scoglio”. Il paragone storico è forte e l’accostamento alla fine del Fascismo forse non è un caso, visto che il premier, come Mussolini alla fine, sembra sempre più alle corde. Il leit motiv del pomeriggio in cui il segretario del Partito democratico, Pierluigi Bersani chiude la festa de l’Unità di Bologna è uno solo: dimissioni del governo, governo di transizione per superare l’emergenza e poi elezioni anticipate. Alleati con chi? Su questo la linea del segretario del Pd rimane ancora vaga, nonostante il patto del Nuovo Ulivo siglato due giorni fa con Nichi Vendola e Antonio Di Pietro a Vasto.

Bersani infatti ci va cauto ed evoca lo spettro dell’Unione, l’alleanza di centrosinistra che, secondo lui, con le divisioni al suo interno, ha riaperto le porte a Silvio Berlusconi nel 2008. Dunque niente di scontato: “Non faremo più una foto di gruppo di politici l’uno contro l’altro. Prima i programmi e gli obiettivi, poi foto di gruppo e le manifestazioni comuni”, ha detto il segretario riferendosi probabilmente all’invito di Vendola per una manifestazione comune il 5 ottobre. “Nessuna alleanza a tutti i costi e prima i programmi”.

Poi c’è la questione dell’alleanza con l’Udc e anche qui Bersani non vuole chiudere alcuna strada: “Diciamo da tempo che è necessaria una convergenza tra i progressisti e i moderati che vogliono superare il berlusconismo. Questa è la nostra proposta, poi tireremo le fila”. Ma un avviso ai casiniani arriva molto chiaramente: “Alle ultime elezioni amministrative – ha detto Bersani a Bologna, durante l’intervista pubblica con il direttore de l’Unità, Claudio Sardo si è vinto a Macerata alleati con l’Udc. Ma, anche dove non eravamo alleati, poi al ballottaggio gli elettori Udc hanno scelto noi. Del resto spesso ce li dimentichiamo, gli elettori”. Bersani si tiene comunque le mani libere sulla questione alleanze che in questi giorni sta provocando forti mal di pancia soprattutto tra chi (vedi Fioroni, vedi Follini) teme un arroccamento a sinistra del Pd. Del resto, spiega l’ex ministro, la prossima legislatura dovrà essere una sorta di ri-Costituente, cinque anni per ricostruire il Paese, “per superare il berlusconismo, con il suo populismo, plebiscitarismo”.

Mani libere e posizione vaga anche sulla questione del referendum sulla legge elettorale. Il Pd ha presentato una proposta di legge per un sistema a doppio turno e non ha ufficialmente appoggiato il referendum, anche se molti militanti e pezzi grossi del partito (un nome, Romano Prodi), stanno raccogliendo le firme alle feste de l’Unità: “La nostra proposta è secondo me molto convincente – spiega Bersani –. Il mattarellum che tornerebbe se vincesse il referendum non è il più adatto per la governabilità”. Detto questo, Bersani lancia una sfida a chi, come Di Pietro e Vendola, appoggia esplicitamente il referendum: “Alla fine della raccolta vediamo chi ha raccolto più firme, se alle loro oppure alle nostre feste. Noi non vogliamo mettere il nostro cappello di partito al referendum”.

Ma è Berlusconi coi suoi scandali ad essere materia facile per scaldare il proprio pubblico di militanti. Il compagno Pierluigi, che da queste parti è stato anche governatore 20 anni fa, ci va giù pesante. Il primo riferimento è all’impegno di domani del premier, in tribunale a Milano per il caso Mills: “Domani all’Onu si apre una assemblea fondamentale che deciderà su questioni per noi vicinissime e fondamentali come la Libia e lo stato palestinese. Ma l’Italia non ci sarà, perché evidentemente per Berlusconi ormai è più imbarazzante il tribunale dell’Onu del tribunale di Milano”.

Bersani ne ha anche per l’alleato di Berlusconi, Umberto Bossi: “Il federalismo della Lega Nord è stato un inganno micidiale. Gli enti locali non sono mai stati peggio di oggi con la Lega al Governo. È il Pd il vero partito del nord”. Poi affonda il colpo: “Credo che la gente non possa mangiare con le favole, adesso abbiamo dei problemi seri e la Lega deve prendersi le sue respoonsabilità”.

Durante il giro per gli stand della c’è anche il tempo di parlare del caso Penati. Oggi l’intervista di Piero Di Caterina (grande accusatore nel caso di presunte tangenti che coinvolge l’ex braccio destro di Bersani, Filippo Penati), alla trasmissione In mezz’ora di Lucia Annunziata ha riacceso il caso. Di Caterina scagiona in parte il Pd nazionale, ipotizzando che i suoi finanziamenti, contestati dalla magistratura durante gli anni di Penati sindaco di Sesto San Giovanni, non fossero diretti a Roma. “I tre milioni, tre milioni e mezzo che ho dato nei dieci anni sarebbero bastati si è no per il partito di Sesto San Giovanni e di Milano non per quello nazionale”, ha detto Di Caterina. “Finanziamenti e non mazzette”, ha anche precisato precisato Di Caterina. “In quel periodo io finanzio Penati, non lo corrompo”.

Ma Di Caterina ha lanciato anche un’accusa pesantissima a quelle coop emiliane coinvolte nello stesso caso Penati: “Ho assistito a pagamenti tra Pasini e dirigenti delle Coop” ha detto l’imprenditore. Bersani, a un commento a caldo richiestogli da ilfattoquotidiano.it, risponde con la sua solita linea da quando l’affaire Penati è scoppiato: “I processi si fanno in tribunale, noi lasciamo lavorare la magistratura. Le cooperative sono comunque una realtà seria e importante che noi difenderemo anche dagli attacchi che sta portandogli contro la manovra del governo Berlusconi”.

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