Tutto o quasi secondo copione. Almeno date le premesse. Dopo il venerdì nero che aveva chiuso l’ultima settimana di contrattazioni, l’Europa vive oggi una pessima ripresa degli scambi, trascinata al ribasso dai tormenti della Bce, dai malumori di Berlino e dalle voci insistenti di un ormai scontato default greco (default che, in senso stretto, si è in realtà già materializzato). E così, come previsto, una nuova valanga di sfiducia si abbatte sulle borse del Continente con Parigi che guadagna la maglia nera superando in volata Piazza Affari (-4,04 contro -3.89). Male anche Francoforte, con l’indice Dax sotto di 2,27 punti percentuali, Madrid (-3,41%) e Londra, che alle 17:35 perdeva l’1,63%. Alla stessa ora Wall Street viaggiava verso la parità con il Nasdaq positivo di 0,02 punti. Un’inezia, ma anche, come si dice in questi casi, tanta roba in un panorama che più depresso non si può (tutte negative anche le borse asiatiche).

A spingere al ribasso Milano e Parigi ci pensa soprattutto il settore bancario. La minaccia di declassamento – causa esposizioni sui titoli greci – da parte di Moody’s dà letteralmente il via al massacro dei colossi francesi: Crédit Agricole cede il 10,64%, Société Générale il 10,75, Bnp Paribas addirittura il 12,35%. Un disastro. Ma a passarsela male, si diceva, sono anche gli istituti italiani. Il titolo Unicredit scende sotto la soglia dei 70 centesimi (0.6935 euro) bruciando quasi l’11% del valore nella sola giornata odierna. Intesa chiude invece a -9.54%. Interessanti, e inquietanti, i dati sui volumi di scambio: su Unicredit si sono mossi oggi 45.490 contratti, praticamente un terzo in più rispetto alla media delle ultime settimane quando lo stop alle vendite allo scoperto aveva posto un freno alla speculazione al ribasso di cui il proliferare dei contratti, una media di 60 mila circa nei giorni più bui, costituiva un segnale evidente. Su Intesa si sono registrate oggi circa 27.600 transazioni. Anche qui si tratta di livelli preoccupanti.

Le rassicurazioni emerse nell’assemblea degli azionisti di Piazza Cordusio, insomma, non hanno ancora convinto i mercati. Come a dire che non importa quanto Ghizzoni e i suoi si impegnino a discutere di aumenti di capitale e piani strategici, tanto, nonostante tutto, il mercato ha deciso di punire la banca facendosi beffe della solidità patrimoniale, degli utili consolidati e di quelli attesi. L’impressione, per il momento, è che sia bastata la scintilla delle prime speculazioni al ribasso per provocare sfiducia e, perché no, anche un discreto panico tanto. Nel corso di quest’anno, si sottolinea negli ambienti del trading, le banche italiane non hanno quasi mai sostenuto il valore delle proprie azioni attraverso adeguate operazioni di buyback (l’acquisto dei propri titoli sul mercato). Risultato: i ribassisti continuano ad approfittarne. E gli azionisti ne pagano le conseguenze.

Sui guai di Unicredit e delle altre banche, per altro, pesa ovviamente anche la forte esposizione ai titoli di Stato italiani che viaggiano ormai al ribasso di prezzo e, quindi, al rialzo degli interessi. Nella giornata di oggi, lo spread tra il Btp italiano e il bund tedesco ha toccato quota 380 punti. In pratica basterebbe un ulteriore aumento del divario sui premi pari allo 0,09% per eguagliare il record negativo di agosto (389 punti) e un allargamento del differenziale dello 0,2% per toccare la soglia psicologica dei 400 punti che, presumibilmente, darebbe il via a una buona ondata di vendite automatiche (le famose stop losses) spingendo ancora al rialzo gli interessi. E intanto domani, senza l’aiuto della Bce, il Tesoro metterà sul mercato titoli quinquennali per 7 miliardi. Un’asta di fondamentale importanza che già toglie il sonno a molti.

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