“Assumo (da tempo) un cocktail di antidepressivi, psicofarmaci, ansiolitici, vitamine e altro, studiato da una equipe di medici, che mi mantiene in questo “equilibrio” accettabile. (..) Se sono vivo lo devo a loro e a tutta questa valanga di chimica che assumo. NON avrei superato tutte le consapevolezze, le sofferenze e la profonda depressione nella quale ero sprofondato nel 2001”. Così parlò Vasco Rossi, in un post delle 23.07 pubblicato venerdì su Facebook. Puntini di sospensione, grassetto, parole qua e là in maiuscolo. Linguaggio smart per ammissioni pesanti.

Vasco ha scoperto l’esternazione. Ormai è tutto un debordare. Sin da quando, a giugno, si dichiarò favorevole al nucleare. Dopo il ricovero, ufficialmente per una costola fratturata, ha scelto Facebook (“pazza piazza”) come sfogo ciclico e flusso di coscienza. Giovedì ha zimbellato Francesco Alberoni (opera sempre meritoria) che con consueta originalità fiammeggiante aveva accostato rock e droga. Venerdì la depressione. Poche ore dopo, alle 2.19 di notte, un corsivo (in versi) sulla svolta colta: “DICHIARO felicemente conclusa la mia straordinaria attività di ROCKSTAR”.

L’aveva già detto, ma evidentemente ha troppa urgenza di raccontarsi. Accadde anche a Francesco Nuti. Indiceva conferenze stampa, si presentava ubriaco e chiedeva aiuto. Non lo ascoltarono in molti. Nel post notturno, insolitamente intellettualoide, Vasco si erge a ultimo cantautore libero: Voglio insegnare ad “ascoltare” le Canzoni./ Voglio diffondere il concetto che/ la “Canzone d’Autore”,/ fa parte della Cultura che conta”.

Veneratissimo, vulnerabilissimo: amico fragile, mai come adesso. Le foto, che lo ritraggono circondato da nuvole (con Chroma Key in stile Felice Caccamo), amplificano l’inquietudine che dà il guardare dal buco della serratura (e del web) l’anima di un uomo famoso e ferito. Il gorgo esistenziale di Vasco, che merita il massimo rispetto, si sta riducendo a telenovela: penosa e morbosa deriva mediatica. Naturale che in tanti ci sguazzeranno. Aspettando nuovi sviluppi.
Rossi ha nuovamente aggiornato il suo profilo alle 13.52 di ieri. Giochi di parole puerili (“NON sono depresso… come NON mi sono dimesso!”, “D’altronde chi-mi-ca…pisce è bravo”), firma immancabile (“V.R.”) e glosse a cotanta logorrea emotiva: “Ho provato il gusto di mettere i panni fuori. Questo non per dare aria alla bocca delle comari del paesino, i cosiddetti ‘organi’ di stampa, ma per godere della condivisione dell’esperienza e della sensazioni. Non ho paura di parlare delle mie debolezze, visto che, paradossalmente, sono la mia forza. Ho capito comunque che la stampa è veloce nell’informare ma dannatamente ritardata nel comprendere”.

Vasco ha buon gioco a stigmatizzare “la stampa” (ma sono gli stessi giornalisti che da decenni lo tengono in vita artisticamente, e in quel caso “la stampa” gli piace). Se confessarsi due o tre volte al dì lo aiuta, ben venga. L’auspicio è che possa imboccare la strada che fu, tra i tanti, di Peter Gabriel. Altro (ex) depresso celebre del rock. Cantarsi, curarsi. Don’t Give Up, Digging In The Dirt, I Grieve. Brani terapeutici. Magari il prossimo disco di Vasco – I soliti – suonerà come una canzone così perfetta da guarire se stessa. Magari.

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