Iprocessi contro cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra sono in pericolo. Dopo la pausa estiva molti dibattimenti per mafia potrebbero fermarsi per una protesta degli avvocati che assistono i pentiti. Da quasi un anno non vengono pagati dallo Stato e sono anche costretti a mettere di tasca propria i soldi per le trasferte. Spesso saltano udienze perché non è garantito il collegamento in videoconferenza o perché le auto blindate sono senza benzina e gli ex boss non possono essere trasportati nei Tribunali.
Da 6 mesi, almeno tre pentiti hanno denunciato di aver incontrato chi avevano accusato, nella zona segreta dove vivono: stanno ancora aspettando di essere trasferiti “d’urgenza”. Diversi dei 900 collaboratori di giustizia, insieme alle loro famiglie, sono sotto sfratto perché non vengono pagati gli affitti così come gli alberghi dove alloggiano temporaneamente.
I fondi per collaboratori e testimoni di giustizia sono passati dai 52 milioni nel 2008 ai 34 milioni nel 2011. In poche parole, il sistema di protezione per i pentiti, ritenuti a livello internazionale un tassello fondamentale nella lotta alla mafia, sta cadendo a pezzi.
A Roma c’è stata una riunione di Ala, associazione di liberi avvocati, che rappresenta oltre 200 dei 600 difensori dei collaboratori. Dopo un lungo confronto sulla “assoluta carenza strutturale di uomini e risorse economiche” i legali hanno deciso che “alla ripresa dell’attività giudiziaria tutti i collaboratori parteciperanno ai loro processi per esercitare in concreto il loro diritto alla difesa, non avendo alcuna certezza di essere assistiti regolarmente”. Finora, invece, gli avvocati hanno garantito le udienze, anche senza la loro presenza, per far risparmiare lo Stato. Inascoltati, hanno quindi deciso di attuare questa forma di protesta: se un pentito non potrà essere in aula, salta l’udienza.
Una rappresentanza di Ala martedì sera ha incontrato il vice capo della polizia, Francesco Cirillo e il direttore del servizio centrale di protezione, Leonardo La Vigna. Hanno ottenuto la promessa di un anticipo minimo sugli arretrati, raccontano gli avvocati. A loro è stato spiegato che “Soldi non ce ne sono. Bastano appena per garantire il contributo ai pentiti, ma non per l’assistenza sanitaria o per la ‘capitalizzazione’”. Cioè una sorta di “Tfr” di cui beneficia il collaboratore che, assolto il suo compito con la giustizia, può fuoriuscire dal programma di protezione.
Eppure il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, il ministro della Giustizia, Angelino Alfano e il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, a ogni arresto ripetono: “Questo governo è quello che ha fatto di più nella lotta alla mafia”. A muso duro, risponde Maria Carmela Guarino, avvocato di pentiti, soprattutto della ‘ndrangheta: “Da un lato il governo si prende i meriti degli arresti, dall’altro boicotta la lotta alla mafia. Senza intercettazioni e senza pentiti gli arresti non si possono fare. Anche i beni sequestrati li dobbiamo in parte ai collaboratori che indicano i prestanome. Ecco perché siamo di fronte a tagli gravissimi. Il governo fa una lotta alla mafia apparente”. E’ molto preoccupata Valeria Maffei, avvocato di Gaspare Spatuzza: “Il sistema sta implodendo. Nell’ultimo periodo tanti pentiti ricevono il contributo in ritardo, diversi avvocati, non pagati, stanno pensando di abbandonare l’incarico perché non reggono economicamente. In questo contesto si rischia concretamente di disincentivare la collaborazione con la giustizia”.
L’avvocato di Palermo, Monica Genovese, che assiste, fra gli altri, Santino Di Matteo, racconta che ci sono già le prime conseguenze: “Molti colleghi vengono sostituiti da avvocati d’ufficio che non conoscono le carte, con grave ripercussione sul diritto alla difesa, sull’andamento dei processi. Il problema degli avvocati non pagati sta diventato il problema dei pentiti”. L’allarme lo hanno lanciato anche alcuni collaboratori siciliani. L’ultimo, in ordine di tempo, Fabio Tranchina, ex boss della famiglia mafiosa di Brancaccio. Al processo per l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo proclama: “Signor presidente, il servizio di protezione non sta onorando il lavoro dei nostri legali e questo può ledere il diritto di difesa dei collaboratori di giustizia”.
Come si è arrivati a questo punto? “Sicuramente – prosegue Genovese – al governo non interessa la voce del collaboratore, come tante altre voci. C’è un generale disinteresse che porta gli organi competenti alla trascuratezza. Quando l’interesse c’è, invece, i soldi si trovano”. Mette il dito nella piaga anche Carmen Di Meo, avvocato di una quindicina di boss della camorra: “I pentiti sono sotto protezione, ma in realtà sono in balia di loro stessi. E le cose diventano più complicate quando fanno nomi di amministratori locali o ‘peggio ancora’ di politici nazionali”.

Dal Fatto Quotidiano del 16 luglio 2011

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