Non vogliono fare la fine del “modello Mirafiori”. Eppure gli oltre 350 lavoratori dipendenti (tra contratti a tempo determinato e indeterminato) e i 60 collaboratori a progetto rischiano quella sorte. Siamo a Casalecchio di Reno, Comune alle porte di Bologna, e si parla del Cineca, il consorzio interuniversitario senza scopo di lucro formato da 50 università italiane, dall’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (Ogs), dal Cnr e dal Miur (il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca). Un centro d’eccellenza a livello europeo fin dalla sua fondazione, nel 1969, nel settore dell’innovazione tecnologica in cui è scaduto il contratto dal 2007.

Quattro anni di contrattazioni però non sono state sufficienti per trovare un nuovo accordo. E il 31 dicembre 2010, allo scadere del precedente consiglio d’amministrazione (quello nuovo non si è ancora insediato ufficialmente), è arrivato l’annuncio: dal 1 luglio 2011, unilateralmente, si cambia e tutti i lavoratori verranno inquadrati con un contratto del commercio.

Il che, tradotto in termini pratici, significa una diversa organizzazione aziendale, aumenti del monte ore settimanale (dalle attuali 35 si potrebbe arrivare fino a 38 senza integrazioni in busta paga) e modifiche degli orari. Che, se finora sono stati lasciati liberi in base a funzione e settore, dall’inizio del mese prossimo potrebbero prevedere un’unica finestra d’ingresso fissata tra le 8 e le 10 del mattino.

Già stamattina sindacati e rappresentanze sindacali unitarie, al termine di un incontro con l’azienda definito “inconcludente”, hanno dichiarato 3 ore di assemblea-presidio a inizio giornata e 4 a fine turno. E lo stesso potrebbe ripetersi lunedì prossimo, il 27 giugno, quando è previsto un nuovo incontro tra i rappresentanti dei lavoratori e il management del Cineca. Con l’inizio di luglio e con l’entrata in vigore delle nuove regole, potrebbe poi verificarsi una recrudescenza dello scontro (non è esclusa nemmeno una richiesta di sospensiva e l’impugnazione legale del nuovo contratto).

Anni di stallo e poi un nuovo contratto unilaterale. Nel 2007, quando era scaduto il contratto di comparto che regolava i rapporti di lavoro tra i ricercatori e il Cineca, non si pensava che la situazione si sarebbe evoluta fino a diventare così tesa. Le contrattazioni per il rinnovo erano partite subito e altrettanto presto era stata manifestata la volontà di passare a un contratto nazionale. Sindacati e Rsu non si erano dichiarato contrari a priori, ma avevano chiesto di vedere ipotesi di accordo per definire alcuni elementi, soprattutto per quanto riguarda gli scatti di anzianità che rischiavano di essere annullati. Inoltre si attendevano anche bozze di contratti di confluenza, per gestire la transizione, e d’integrazione.

Per anni, però, dal centro di ricerca sono arrivate risposte ritenute “troppo vaghe” dai lavoratori, che comunque avevano accettato a inizio anno di partecipare a un tavolo tecnico. Al quale sono seguiti mesi di silenzio fino all’annuncio del passaggio unilaterale dal 1 luglio. Oltre a questo, però nient’altro: non un articolato scritto né un piano industriale che mostrasse le prospettive per il futuro.

L’unica certezza, se non accadrà qualcosa in questi pochi giorni, è il passaggio con tutti gli aspetti peggiorativi già raccontati e a cui va aggiunta la scomparsa delle indennità di straordinario e di reperibilità. E poi c’è la questione del “superminimo garantito”.

Il rischio dello “scalone” tra dipendenti anziani e neoassunti. Una formula, quella del “superminimo garantito” (una specie di integrazione salariale), che sul piano pratico – temono sindacati e Rsu – si può tradurre in una discriminazione tra lavoratori già contrattualizzati e nuovi assunti. Senza vantaggi per nessuno. Vediamo.

Se a prima vista sembrerebbe trattarsi di una condizione favorevole per chi già lavora al Cineca, che a parità di mansioni vedrebbe aggiungersi qualcosa alla paga base, per le Rsu potrebbe però tradursi in un boomerang, se la crisi dovesse aggravare i conti del centro (conti che sembrano stare bene) e fosse necessario tagliare posti di lavoro. La sforbiciata, infatti, potrebbe abbattersi su chi costa di più, in termini di stipendio. Dall’altro, invece, i neoassunti, per compiere lo stesso lavoro negli stessi orari dei colleghi più anziani, sarebbero pagati meno.

Un caso che rischia di diventare un ariete per altri centri di ricerca. I lavoratori si attendevano qualche risposta nell’incontro di questa mattina con il management. Ma, a quanto raccontano fonti interne al Cineca, le incognite della transizione rimangono tali. Soprattutto a fronte delle slide che sono state proiettate ai loro rappresentanti, una carrellata di “principi” che non sarebbe entrata nel merito di questioni come il mantenimento dell’anzianità di servizio e l’evitare lo “scalone” tra vecchi e nuovi assunti.

C’è infine un aspetto non marginale da aggiungere: il Cineca, come molti altri di centri di ricerca in Italia, non aveva un proprio contratto nazionale, ma si richiamava ad accordi di comparto utilizzati in ambienti accademici. Se adesso diventasse effettiva la decisione comunicata ai lavoratori, potrebbe trasformarsi nel primo di una serie di casi da ripetere in altre realtà analoghe. E già qualche esperienza aveva destato perplessità, come quella della Kion, società partecipata al 100% dal Cineca, che sviluppa software gestionale per le università: 150 lavoratori a cui è stato fatto un contratto da metalmeccanico.

Senza contare lo spauracchio della contrattazione individuale, con la rottura del fronte sindacale e l’introduzione – appunto – del modello Mirafiori.

a.b.

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