“Sono caduto in una trappola, questo sì, ma certamente in buonissima fede”. Il parlamentare del Pd Domenico Lucà non ci sta. Lui quell’imprenditore calabrese che ieri mattina è finito in carcere con l’accusa di essere un padrino della ‘ndrangheta piemontese, lo conosceva da anni “ma certo non sapevo fosse affiliato ai clan dal 1994”. Politica e mafia. Per i magistrati il copione è chiaro. Non per Lucà. Che grida la sua “totale estraneità” e non entra nella questione di altri colleghi coinvolti (ma non indagati) nell’inchiesta. A partire dall’assessore regionale Claudia Porchietto.

Il giorno dopo l’operazione Minotauro, che ha messo sotto scacco gli uomini delle cosche nel nord Italia, l’aria all’ombra della Mole resta agitata. L’ondata di arresti, infatti, si lascia dietro malumori e rabbia. Ma soprattutto un quadro inquietante: la capacità dei clan di infiltrarsi a ogni livello della politica. Almeno questo racconta l’indagine coordinata dal procuratore Giancarlo Caselli. E così tra le pieghe delle carte resta impigliato anche il nome di Mimmo Lucà, all’anagrafe Domenico, classe ’53 originario di un piccolo paese della Locride. Dirigente delle Acli e fondatore, a Torino, del Tribunale per i diritti del malato, Lucà entra in politica nel 1994 con casacca Ds. E qui resta fino a oggi. Quattordici anni di militanza parlamentare e altrettanti di passione politica vissuti tra Rivalta e Rivoli. “Una carriera che non può essere infangata in questa maniera”. Lucà lo dice con forza riferendosi a quelle intercettazioni che, pur non avendo rilevanza penale (il parlamentare non è indagato), sono trascritte nell’ordinanza di arresto (LEGGI LA TRASCRIZIONE DELLA TELEFONATA). Poco più di due pagine in cui si legge come “la vicenda Lucà è quella che, maggiormente, interessa le elezioni amministrative del 2011. In merito, si evidenzia che Salvatore Demasi è stato contattato direttamente da Domenico Lucà, parlamentare dell’attuale Legislatura eletto nell’anno 2008. Questi ha chiesto a Demasi di attivarsi per sostenere e reperire consensi per la candidatura dell’onorevole Fassino alle consultazioni primarie del Partito Democratico”.

Ma chi è Salvatore Demasi? Per i magistrati è un affiliato con dote di padrino e capo della locale di Rivoli. Per Mimmo Lucà, invece, “è un imprenditore calabrese che costruisce bellissime case, noto non certo per motivi di dubbia moralità”. E del resto tra l’onorevole e il presunto boss la conoscenza è lunga. “Lui – racconta Lucà – mi ha dato una mano quando il mio collegio elettorale era Rivoli”. Di più: “Abbiamo partecipato assieme a incontri pubblici, ci scambiamo gli auguri di natale”. Quindi la doverosa precisazione: “Non ho mai minimamente immaginato dei suoi rapporti con i clan, perché se così fosse stato avrei cancellato il suo numero dalla mia rubrica”. Il punto è chiaro. E in fondo Lucà, originario di Gioiosa Ionica, sa molto bene come deve muoversi un politico in certi posti. “Quando torno in Calabria sto attento alle persone che incontro” perché “a Gioisa Ionica ci si conosce tutti”. Non sembra essere così a Rivoli. Eppure ieri il comune è finito dritto dritto nelle carte dell’inchiesta. Qui per anni ha operato un locale di ‘ndrangheta capeggiato proprio da Demasi. “A Rivoli – dice Lucà – non ho mai avuto la sensazione della presenza mafiosa”. Presenza che il collaboratore di giustizia Rocco Varacalli, invece, colloca a partire dai primi anni del 2000. “Ricordo che il 20 dicembre 2002 venne svolta una festa per il Natale presso il cantiere di via Lancia ove era impegnata la mia ditta. Ricordo con precisione che si trattava del 20 dicembre 2002 poiché nella stessa data, nella mattina, avevo consegnato gli assegni ai miei numerosi dipendenti. Alla festa erano presenti Giorgio Demasi, capolocale storico della ‘ndrina di Rivoli”. Demasi, detto Giorgio, ma iscritto all’anagrafe con il nome di Salvatore “è legato alle famiglie Romeo, Pelle e Vottari di San Luca”. Legame che gli deriva dal matrimonio con “Antonia Romeo, figlia di Sebastiano alias “Staccu” ritenuto, sino alla sua morte, il “capobastone” della cosca nonché “capo locale” di San Luca”.

Questo per stare alla fredda sintassi giudiziaria. Il resto sta, invece, nelle parole accorate di Mimmo Lucà. Che riprende il filo per riordinare la vicenda delle primarie in vista delle amministrative 2011 a Torino. “Essendo io calabrese – dice – , ogni volta che c’è una tornata elettorale mando una lettera ai calabresi chiedendo esplicitamente il voto”. E Demasi? “La partita per le primarie è stata fino all’ultimo complicata”. Il consigliere regionale Davide Gariglio, infatti, sembra messo bene. Al Pd si teme un pericoloso testa a testa. Ma c’è di più: alcuni calabresi si stanno dando da fare per lui. Conferma Lucà. “Avevo saputo che Mangone si era dato da fare per Gariglio”. Il parlamentare Pd spiega: “Per questo ho chiesto a Demasi se poteva interessarsi per recuperare qualche voto tra i suoi amici. In fondo lui si era già dato da fare per la campagna elettorale di Mercedes Bresso e Sergio Chiamparino”. Quindi la precisazione che per Lucà chiude il discorso: “Io non ho mai scambiato nulla con nessuno e adesso mi ritrovo con la vita privata sconvolta e un reputazione pubblica messa a rischio da accuse totalmente infondate”.

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