Una piccola azienda a conduzione familiare che ha attraversato il boom economico, ha cavalcato le onde della finanza, ha imposto il suo marchio nel mondo come perla del Made in Italy per poi diventare la “più grande fabbrica di debiti della storia del capitalismo europeo“. Ora la Cassazione ha scritto la prima sentenza definitiva su uno dei più grandi crolli economici mai visti.

Risalendo a ritroso, almeno fino al 1990 quando la quotazione in borsa – secondo le ricostruzione investigative – rappresentò, con l’aggiramento delle norme per l’approdo al mercato, il primo tentativo di arginare le difficoltà industriali e finanziarie attraverso il ricorso al mercato dei titoli. Un’operazione che dette il via all’epoca delle acquisizioni. Con un massiccio ricorso al credito e ai collocamenti obbligazionari, la Parmalat divenne in breve una multinazionale espandendosi in Sudamerica, in Nordamerica (dove tenta invano di imporre il latte a lunga conservazione in un continente dove si consuma esclusivamente latte fresco), in Sudafrica e, negli ultimi anni, anche in Oceania.

Con una politica aggressiva acquisì società anche in settori non strettamente legati all’alimentare: come, ad esempio, il turismo, con la nascita di Parmatour. Secondo la Guardia di finanza che ha condotto l’inchiesta sul crac, è stato proprio il turismo ad aver fagocitato una parte consistente dei finanziamenti bancari di Parmalat.

Le difficoltà maggiori cominciarono però per Tanzi e il suo gruppo nel 1999, quando venne acquisita Eurolat dal gruppo Cirio di Sergio Cragnotti. Un’acquisizione sulla quale grava il sospetto di pressioni provenienti dalla Banca di Roma, che aveva l’obiettivo, secondo la Procura, di rientrare dei crediti con l’acquisto del gruppo di Parma. Uno schema che secondo gli inquirenti si è ripetuto nel 2002 con le acque minerali Ciapazzi di Giuseppe Ciarrapico, azienda acquistata ad un prezzo ritenuto gonfiato dagli investigatori, sempre per consentire a Banca di Roma di rientrare dei crediti concessi a Ciarrapico.

Il problema maggiore resta, però, quello di spiegare perchè un gruppo che vanta una liquidità colossale (3,8 miliardi di euro) continui a ricorrere con quella intensità al credito e alle emissioni obbligazionarie. Nel 2003 per ben due volte Parmalat è costretta dall’allarme creato sul mercato a ritirare emissioni di titoli già annunciate.

Il bubbone scoppia nel novembre del 2003. Tanzi chiama al capezzale di Parmalat Enrico Bondi con lo scopo di risanare tutto il gruppo. Bondi scopre che Parmalat non potrà fare fronte al pagamento di un bond da 150 milioni di euro in scadenza di lì a poco. L’attenzione sul gruppo di Collecchio si fa serrata. I primi di dicembre si scopre che la liquidità custodita nel Fondo Epicurum non esiste, il titolo crolla sul mercato, viene sospeso dalle quotazioni e, il 27 dicembre, Tanzi viene arrestato. E’ la prima palla di neve di un valanga che travolgerà decine di migliaia di piccoli risparmiatori.

Articolo Precedente

Le tappe giudiziarie di un crac senza precedenti

next
Articolo Successivo

La giornata più lunga: “Sono sereno, non voglio commentare”

next