La notizia non è nuova, ce la ripetono da circa 35 anni: ci stiamo spopolando sempre più. Della cosa, come nella nota storiella della rana e l’acqua calda, per adesso non ci si preoccupa tanto, salvo alcuni studiosi sociali che ogni tanto lanciano l’allarme. Tra questi anche lo statistico Roberto Volpi il quale annunciava in un libro di pochi anni fa “La fine della famiglia italiana (Mondadori, 2007): una serie di trend stabili confermati da crudi dati che dimostrano la difficoltà della società italiana nel realizzare il ricambio generazionale e una sfiducia nella fondazione di nuove famiglie. A riprova di ciò gli aumenti costanti di separazioni e divorzi.

Ma che fatica fanno oggi le coppie a formarsi e a darsi continuità! Fin dai primi tentativi giovanili, e poi anche successivamente nell’età adulta, prima ancora di transitare (se ci riescono) verso la formazione di una famiglia. La coppia stabile sembra proprio un lontano miraggio. Ma come mai?

L’itinerario storico di questa instabilità è davvero complesso: l’individualismo più radicale dei nostri tempi; l’enfasi posta sull’amore romantico come principale cemento dell’unione di coppia; per arrivare agli ultimi decenni con la trasformazione della famiglia produttiva nella famiglia consumista; fino alle ultime tendenze che vedono il matrimonio esplicitamente contrario alla realizzazione personale. Aggiungiamoci pure la totale mancanza di incisività di ogni programma politico nel sostegno a coppie e famiglie, fatto questo che non fa da contrappeso all’incollamento di molti 20-30enni (e passa) alle loro famiglie di origine. Si consideri che fino a sole 1-2 generazioni fa la coppia si fondava su alcuni capisaldi tra i quali: a) il partner era per sempre; b) la coppia preconiugale (fidanzati) era transitoria e confluiva presto verso matrimonio e famiglia. Capisaldi questi oggi capovolti: il partner va bene finché dura e la coppia non procede più automaticamente verso la famiglia.

Da queste premesse storiche derivano numerosi abbagli per le coppie contemporanee, piuttosto malferme. Vediamone alcuni.

Primo abbaglio: se l’individuo diventa troppo “importante”, la coppia non sa più trascendersi, cioè i suoi membri non sanno più decentrarsi e pensarsi come adulti generativi.

Secondo abbaglio: il desiderio di genitorialità in molti si slega e viene dimenticato annidandosi in zone sempre più remote della psiche, salvo poi riemergere (specie nelle donne) in zona cesarini, talora troppo tardi. S’insinua così in molte nuove coppie una sorta di vera e propria angoscia generativa che talora rende impensabile la genitorialità.

Terzo abbaglio: gli impegni coniugali, e poi anche genitoriali, sono vissuti come irraggiungibili o eccessivamente responsabilizzanti o mortificanti. Si preferisce così pensare alle relazioni come “rottamabili”, non impegnative.

Quarto abbaglio: oggi ci sentiamo “giovani” ben oltre i 50 anni, ma questo dentro la coppia crea un irreale clima di impasse a-progettuale.

Quinto abbaglio: l’illusione che basti la promessa di amore a costruire il progetto di coppia. Ma se questo patto d’amore è solo interno, non regge, per cui si ricade in una sfinente ed interminabile rinegoziazione tra i partner (“se stiamo insieme ci sarà un perché” diceva una canzone).

Sesto abbaglio: se la coppia non è più mezzo ma fine, il partner diventa per noi “tutto” e su di lui si riversano le nostre aspettative totalizzanti. E perciò le relazioni diventano sempre deludenti.

Risultato finale: la coppia è diventata un’immane fatica e ha perso di profondità prospettica, cioè non è più motivo di realizzazione personale.

Non c’è alcuna nostalgia da ancien régime in questa pur sommaria descrizione, ma semplice e neutrale osservazione delle tendenze in atto da alcuni decenni, sostenute da processi sociali. Sarebbe però sbagliato generalizzarle. Rimaniamo in osservazione e cerchiamo di capire dove queste tendenze ci porteranno. E nel frattempo cerchiamo di risolvere con le coppie il rompicapo della loro instabilità per comprendere le loro (le nostre!) nuove regole d’ingaggio.

Per adesso il dato che ci sembra preoccupante e connesso con quanto stiamo argomentando è la linea fissa da 35 anni e sempre più in picchiata dei tassi di natalità delle donne italiane.

È immaginabile una società svuotata di giovani?

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