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Il pacifista tirato per la giacchetta

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È morto un uomo che lavorava per la pace. Un uomo che pensava e scriveva cose sulle quali si poteva anche non essere sempre d’accordo, ma che metteva in gioco se stesso. E che per il suo essere lì dove aveva scelto di vivere e agire, accanto al popolo di Gaza, ha pagato con la morte.

Questo e solo questo dovrebbe essere il pensiero di ogni essere umano degno di essere definito tale su Vittorio Arrigoni, il trentaseienne pacifista crudelmente assassinato a Gaza da un non meglio identificato gruppo di estremisti islamici.

Quale miglior veicolo del web per raccontare la figura del giovane pacifista e testimoniare il suo sacrificio? Invece no. Proprio da siti e blog più o meno politicizzati, leggo pensieri inauditi, rivoltanti, indegni. E tristemente speculari: a chi da una parte (destra) si fa beffe del pacifismo di Vittorio (“i comunisti si ammazzano fra di loro”) e addossa ad Hamas la responsabilità dell’omicidio, risponde chi (a sinistra), non perde l’occasione per indicare Israele come il mandante dell’assassinio (“questa è una guerra di religione, ebrei sionisti contro musulmani!”).

Mi spiace molto che la famiglia di Vittorio, che rispetto profondamente e alla quale va tutta la mia solidarietà, abbia chiesto che la salma del figlio non passi da Israele: anche lì c’è chi lotta per la pace e avrebbe onorato la sua salma. Continuando a restare umano.

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