Fora da i ball. Sì, ma non i tunisini o i libici. Fuori dalle scatole ci sono finiti, e ci stanno finendo, gli ex votanti, militanti e simpatizzanti dell’ex Pci-Pds-Pd dell’Emilia Romagna. O meglio, di elettori di sinistra in regione, dopo essere saliti in parecchi sul Carroccio di Bossi, sembra ce ne siano sempre meno. Questo il trend elettorale, refrain politico e culturale, dell’assalto leghista alla regione rossa per eccellenza, raccontato nel documentario Occupiamo l’Emilia: in tour per dodici sale dell’Emilia-Romagna tra cui il 13 aprile il Lumiere di Bologna e per ultimo il 23 maggio il Saffi d’essai di Forlì. Un quadro oggettivo di una realtà in rapida evoluzione che mescola interviste dirette ai dirigenti del Carroccio, semplici cittadini, filmati di TelePadania e di youtube, per comprendere l’avanzata della Lega da Piacenza a Rimini, passando da Bologna, dove il candidato a sindaco della Lega Nord Manes Bernardini è diventato il candidato ufficiale per la carica di primo cittadino dell’intero Pdl.

Sei i nuclei tematici del documentario diretto dai giornalisti freelance Stefano Aurighi, Davide Lombardi e Paolo Tommasone: un’analisi accurata, poggiata sui flussi elettorali elaborati dall’Istituto Cattaneo di Bologna sull’aumento delle percentuali alle regionali 2010 (in 308 su 348 comuni la Lega supera il 10% e in trentaquattro comuni si è attestata tra il 20 e il 30%); il caso del referendum secessionista tra Romagna ed Emilia (in parte riuscito); perché si vota Lega Nord e cosa accomuna maggiormente i suoi votanti (l’invasione d’immigrati); la voce dei presunti operai che votano Bossi (molto presunti, tra le officine Ferrari e Maserati); il ruolo della donna nell’universo padano (angelo del focolare); infine Bologna, la roccaforte rossa assediata dai leghisti (a serie rischio di colonizzazione).

In mezzo ad ogni sequenza, come fosse un’interferenza continua, un fantasma del passato che deve per forza emergere e qualificarsi, la tesi aurea di sondaggisti e politologi, di editorialisti e della gente comune: “Prima votavo Pci ora voto Lega”. “Non siamo partiti con tesi da dimostrare”, racconta uno dei registi Stefano Aurighi, “siamo andati sul territorio usando una chiave documentaristica e neutrale. Il fatto che l’appartenenza o personale o di parenti alla sinistra emiliano romagnola si ripeta spesso, non l’abbiamo cercata, ma si è lentamente consolidata parlando con gli elettori leghisti. Un fenomeno che riguarda principalmente il nocciolo originario anni ’90 della Lega Nord Emilia-Romagna, ciò che in Veneto è accaduto con la Dc. Le persone che lo affermano nel film sono tante, tra loro c’è una signora modenese di mezza età intervistata sul pullman per Pontida, figlia di un partigiano, ex sindaco Pci di Spilamberto, che dice: “Anche mio padre oggi sarebbe leghista”.

La signora aggiunge anche che tra gli anni ’60 e ‘70 avere la bandiera italiana era considerato fascista e l’inno del Pci non era quello di Mameli ma l’Internazionale…

“Quando abbiamo presentato il documentario al consolato americano in Italia, il politologo Amadori ha affermato: “Quello che funziona per la Lega è questa terna di elementi: un identità chiara, un sogno e naturalmente la mediazione politica sul territorio”. Ecco, noi non riteniamo che la sinistra non possieda più queste caratteristiche, semmai quelle che aveva il Pci erano più efficaci. E poi, nonostante vada ribadito con forza che la padania non esiste, sostituire un sogno o un utopia internazionale con un’altra è frutto di una elaborazione teorico-comunicativa dovuta ad una precisa strategia che i leghisti in Emilia-Romagna hanno studiato perbene con risultati stupefacenti”.

Per la Lega Nord vige anche un altro doppio canale comunicativo: l’affermazione volgare, provocatoria, senza freni e la sua presentabile rielaborazione ufficiale quando intanto il concetto è stato espresso. Vi è capitato di incontrare enunciati di questo tipo più con la base o coi dirigenti della Lega emiliano romagnola?

“Nelle interviste ai dirigenti non l’abbiamo mai riscontrata e lo mettiamo in rilievo nel film, perché la classe dirigente leghista sta puntando molto sulla formazione dei propri quadri, modello Frattocchie per il Pci. Il ruolo della comunicazione e della presentabilità è centrale, ma non ha ancora fatto breccia nella base che rimane più istintiva: tra chi invoca ancora il fossato con gli squali per tagliare a metà l’Italia e i soliti cliché antimeridionali. Ci pensa poi Bossi ai picchi di comunicazione fuori dalle righe, per usare un eufemismo, con cui consolidare l’identità leghista. Se lui dice “fora da i ball”, dice quello che pensano tutti i leghisti e il modo in cui vorrebbero sentirselo dire. Un po’ come quando D’Alema disse a Sallusti in diretta tv “vai a farti fottere”. Frasi di pancia, a D’Alema scappata involontariamente, ma che fece gongolare, nel pieno rispetto delle persone in questione, molti elettori di sinistra”.

Tra i vari incontri per strada o nelle sedi della Lega, ce n’è qualcuno che vi ha sorpreso o stupito?

“Tra oltre trenta ore di girato, una cosa ci è rimasta sulla pelle. Una frase semplice di un pensionato incrociato per strada a Ravenna, detta con la genuinità di chi non ha sovrastrutture: “Non so se la Lega ha ragione, però almeno parla con la gente”. A nostro avviso, è la chiave di volta della capacità di penetrazione della Lega Nord in Emilia-Romagna”.

Davide Turrini

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