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Ligresti, l’amico degli amici (e di Geronzi)

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Domanda: il capitalismo di relazione all’italiana può permettersi il fallimento di Salvatore Ligresti, pieno di debiti e di perdite? Risposta: no, non può. E non può perché le aziende del finanziere-costruttore siciliano, già salvato due volte negli ultimi 15 anni, sono uno snodo centrale di quella rete di partecipazioni incrociate che consente ai soliti noti di continuare a comandare. Il sistema Generali-Mediobanca, con al vertice il banchiere highlander Cesare Geronzi, inseguito dai processi eppure sempre in sella, deve sostenere Ligresti perché la sua caduta rischierebbe di innescare un effetto domino dalle conseguenze imprevedibili.

Esempio pratico. In un capitalismo sano il settantottenne Ligresti avrebbe due strade da percorrere. La prima: risanare Fondiaria, cuore del suo gruppo, iniettando risorse fresche con un aumento di capitale. Oppure venderla, per tappare i buchi del suo impero immobiliare prima di passare il testimone ai figli. Ma non può fare né una cosa né l’altra. Non può permettersi un aumento di capitale: non ha i soldi. E non può neppure passare la mano, perché il sistema che lo sostiene non vuole che un grande gruppo assicurativo straniero, per esempio Axa, entri in Italia per fare concorrenza alle Generali.

Nasce così la progettata alleanza con i francesi di Groupama, che non sono forti abbastanza da dare fastidio a Geronzi. E se per caso la Consob dicesse no a questa soluzione, nata tra manovre di Borsa a dir poco sospette, ci sono sempre le banche pronte ad aprire il portafoglio. Per dare una mano, ancora una volta, all’amico Ligresti.

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