L’omosessualità rimane un tabù fra i soldati degli Stati Uniti. Per soli tre voti, non è stata raggiunta ieri al Senato di Washington la maggioranza qualificata necessaria ad approvare l’abrogazione della legge del “don’t ask don’t tell” (Dadt), che vieta alle persone dichiaratamente gay di arruolarsi nell’esercito americano. Con 57 voti favorevoli contro 40 contrari, rimane così in vigore la legge introdotta nel 1993 durante l’amministrazione Clinton, che ha di fatto consolidato la prassi fra le reclute statunitensi di omettere i propri orientamenti sessuali al fine di non vedersi preclusa la carriera militare.

Un’ipocrisia che, secondo le associazioni per i diritti civili, avrebbe già comportato l’espulsione dall’esercito di oltre 14mila soldati colpevoli di aver fatto coming out e per l’abolizione della quale si era espresso direttamente anche il presidente Barack Obama. “Sono estremamente deluso – dice ora Obama – dall’ostruzionismo del Senato che ancora una volta ha bloccato la legge. Come comandante in Capo ho spinto perché questa legge venisse cambiata, consapevole che le nostre forze armate siano assolutamente preparate a lavorare fianco a fianco con americani che sono apertamente gay o lesbiche”. Poi l’accusa: “Una minoranza di senatori ha impedito un’importante riforma appoggiata dalla maggioranza del popolo americano”. Anche il segretario alla Difesa, Robert Gates e l’ammiraglio Mike Mullen, capo degli Stati maggiori delle Forze Armate, si erano pronunciati contro la legge discriminatoria nei confronti dei militari gay.

Già respinta una prima volta, sempre per una manciata di voti, dal Campidoglio lo scorso settembre, la proposta di abolizione avanzata dai democratici era stata approvata alla Camera, mentre solo qualche mese fa era stata la Corte Federale della California a dichiarare incostituzionale il “don’t ask don’t tell” per violazione dei diritti fondamentali dei militari gay. E se, secondo i sondaggi, la maggioranza degli americani sarebbe favorevole a stralciare la legge, il timore dei democratici e delle associazioni di difesa dei diritti civili è ora quello di non disporre più dei tempi necessari per una nuova approvazione entro l’anno, prima cioè che si insedi il nuovo Senato a maggioranza repubblicana, che rischia di cancellare del tutto la questione dall’agenda politica statunitense.

“La politica ha prevalso sulla responsabilità e il risultato è solo che ora oltre un milione di soldati americani, compresi decine di migliaia di gay e lesbiche, continueranno a stare male”, accusa Alexander Nicholson, ex militare allontanato dall’esercito per aver dichiarato la sua omosessualità dichiarata e oggi direttore di Servicemembers United, la più grande associazione americana di soldati e veterani gay. “Il Senato dovrebbe considerare l’opportunità di esprimersi nuovamente su un progetto di legge indipendente per l’abolizione di questa legge prima delle feste di fine anno”.

Intanto, proprio dal Pentagono, erano arrivati la scorsa settimana i risultati di un sondaggio condotto su 115.000 militari e oltre 44mila membri delle loro famiglie per valutare l’impatto che l’abolizione della legge avrebbe sugli equilibri interni alle caserme: la maggior parte dei soldati dichiara di essere favorevole all’abbandono del “don’t ask don’t tell” mentre per il 70% degli interpellati poter esprimere liberamente le proprie tendenze sessuali non avrebbe effetti negativi sull’operato delle forze armate statunitensi.

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