“Consiglié, qua non si fuma. Ci siamo capiti, in aula non si fuma”. Giovedì 25 novembre, è mezzogiorno quando scocca l’ora del Consiglio comunale solenne sull’emergenza rifiuti. A munnezza che da giorni assedia Napoli. Dai quartieri spagnoli a Ponticelli, dall’Albergo dei Poveri a Foria, fino al Vomero.

Il Consiglio inizia male, con un battibecco tra il presidente e un consigliere che, incurante del divieto, strafottente delle leggi, stringe tra le labbra una Marlboro. “Presidé, quella è spenta, e che volete fare un processo alle intenzioni?”. Risata generale nell’aula. Aula angusta, brutti colori, una tribuna stampa e dieci posti appena per il pubblico. “E’ stretta, ma quando ci sono occasioni speciali ci riuniamo altrove”, si giustifica un’impiegata. E questa cos’è, se non una occasione speciale?

Da settimane la città è un’enorme discarica, il turismo crolla, i bambini, le creature, vanno a scuola con la mascherina sul viso facendo lo slalom tra zoccole (topi) e sacchetti neri sventrati, ma qui di consiglieri presenti ce ne sono a malapena 35 su 61. Distratti, sfatti, sfrantummati, annoiati e con il pensiero alle elezioni prossime venture. Perché a maggio a Napoli si vota, si archivia l’ultima puntata della telenovela Bassolino. E chi ha voglia di mettersi a litigare ‘ngoppa ‘a munnezza.

Rosa Russo Iervolino
, decenni fa pupilla della Dc, da dieci sindaco supervotato di Napoli, è la maschera della disperazione. Ha affidato a Paolo Giacomelli, un uomo per bene, un tecnico, uno capace e competente nella città degli arruffoni, il compito di fare una relazione sulla nuova “peste di Napoli”. Giacomelli parla di percolato, rifiuti solidi urbani, frazione umida, differenziata, codici, normative europee. I 35, che nel frattempo sono si sono ridotti a sette-otto perché la relazione è lunga e si è fatta l’ora della “colazione” (a Napoli chiamano così il pranzo veloce) e tutti sono alla buvette. Consiglié, vulite ‘o Campari o ve faccio ‘o café?, come nella canzone di De André. Ma quelli scelgono il “panzarotto”. Per la munnezza c’è tempo.

Il mite e competente Giacomelli ha finito la sua relazione, raccoglie il plauso di tutti, finanche del capogruppo del Pdl. Un onore alle armi. Un sussulto ce l’ha il consigliere Mastranzo (Pdl): “Sindaco, in questa munnezza manco i topi campano più”. La Iervolino ascolta, lo guardo perso negli orribili arazzi di stampo tristemente modernista che coprono le pareti dell’Aula. A maggio il suo calvario sarà finito, ora toccherà ad altri governare la città ingovernabile. Berlusconi e il centrodestra nazionale la attaccano, Bossi invoca le manette. Lei risponde rassegnata tranquillità: “Suonano una canzone stonata, lasciateli fare”.

Si parla nel Consiglio comunale di Napoli, ma tanto per fare, per dare aria ai denti. Perché tutti sanno che nell’aula di questo brutto palazzo, stretto tra il marciapiede e le transenne dei lavori infiniti della nuova metropolitana, non si decide il destino di Napoli. Mai il destino della città si è deciso nel suo Consiglio comunale. Neppure ai tempi de “le mani sulla città”, la grande speculazione edilizia del dopo Lauro. Francesco Rosi ci fece un film memorabile. Epici gli scontri tra il costruttore laurino Nottola (Rod Steiger) e il potente gavianeo consigliere comunale Maione (un monumentale Guido Alberti). “Eccolo là, quello è l’oro della città”, dice Nottola- Steiger indicando i nuovi palazzi e le colate di cemento.

L’oro, e la dannazione, della città degli anni Duemila è la munnezza. Che trascina altrove le decisioni, ben oltre Piazza Municipio e Santa Lucia. Forse a Casal di Principe, terra di camorristi e politici che hanno edificato le loro fortune su montagne di rifiuti. Oppure a Palazzo Grazioli, dove, dopo ore e giorni di mediazioni di un indebolito Berlusconi con i Cosentino, i Cesaro, i Martusciello, i Sibilia, e gli altri potenti “azzurri” sotto il Vesuvio, si sceglierà il prossimo sindaco di Napoli. I destini di Napoli non si decidono certo in casa Pd, dove piccoli potentati al tramonto combattono una lotta feroce per l’eredità di Rosetta, e nessuno ha un nome credibile. Non c’è un Maurizio Valenzi, l’uomo che prese sulle spalle la città dopo il colera del 1973, né un giovane Bassolino del ’93, che raccolse lo sfascio di un Comune dalle finanze dissestate, con 18 consiglieri su 80 inseguiti da ordini di cattura. Napoli ai tempi della munnezza non ha speranze.

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